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Gatta Cenerentola: la recensione

Lo abbiamo già visto in altre occasioni, le favole dalle quali hanno preso spunto gli autori dei classici Disney non sono esattamente il simbolo della gioia e dell’ottimismo.

I finali non sono lieti come vorrebbero farci credere perché dai, guardiamoci intorno, il mondo non è un posto del tutto confortevole, o almeno non sempre. E chi attingeva alla realtà per poi costruire di fantasia, come Giambattista Basile, restituiva al lettore quello che aveva assorbito dall’ambiente circostante. Che a tratti era anche un po’ splatter. Le opere di Basile stanno rinascendo grazie al cinema, Matteo Garrone ha diretto “Il racconto dei racconti” e ora Alessandro Rak, Ivan Cappiello, Marino Guarnieri e Dario Sansone hanno sfornato un altro capolavoro, un gioiellino d’animazione, “Gatta Cenerentola“. Si capisce che la storia sia basata su quella di Cenerentola, che non ha delle origini molto chiare. La versione più celebre è forse quella di Perrault (ne esiste anche una dei Grimm) ma qui è stata presa in considerazione “La Gatta Cenerentola” di Giambattista Basile, rivisitata in chiave moderna; il risultato è quello che verrebbe fuori buttando in un calderone la fiaba edulcorata – scegliete voi una delle versioni, Disney inclusa – e “Gomorra” – scegliete voi se film o serie, il risultato non cambia. Per questo, meglio anticiparlo, non fatevi ingannare dalla scelta di creare un film d’animazione, non è molto adatto a un pubblico di bambini.

Gatta Cenerentola” è ambientato nel porto di Napoli, sulla Megaride, una grande nave che potrebbe segnare una svolta positiva per la città. Dietro l’ambizioso progetto c’è Vittorio Basile (Mariano Rigillo), un omaggio all’autore della fiaba a cui il film si ispira e a Vittorio De Sica, nel nome e nell’aspetto. Vittorio ha una figlia, Mia, e molti sogni: vuole trasformare la città di Napoli e restituirle lo splendore che merita e conserva dei segreti molto importanti per il futuro della scienza e della città. Il giorno delle sue nozze con Angelica Carannante (Maria Pia Calzone), Vittorio viene ucciso e con lui tutti i suoi sogni e la sua conoscenza. La nave viene abbandonata a se stessa, diventando uno dei luoghi più malfamati della città. Mia, rinominata Cenerentola, rimane con la matrigna e le sei sorelle, un gatto è la sua unica compagnia. Gira da sola tra i condotti dell’aria senza mai proferire parola, assecondando il suo miserabile destino. La città vive nel totale degrado ma c’è Salvatore Lo Giusto (Massimiliano Gallo), O’ Re sta per tornare perché ha una promessa da mantenere: 15 anni prima ha detto ad Angelica che l’avrebbe sposata. Salvatore è un uomo dalla parlantina fluida, è carismatico ed è anche un grande trafficante di droga. La città si sta lentamente sgretolando tra le sue mani, lui continua a fare promesse che sa di non poter mantenere. Il suo ambizioso progetto non è la Città della Scienza ma una vera e propria capitale del riciclaggio, per poterlo concretizzare ha bisogno dell’eredità di Cenerentola. Mentre si sviluppano queste vicende, in un tempo che scorre inesorabile e corrode le cose e le persone, Primo Gemito (Alessandro Gassmann), ex uomo della scorta di Vittorio Basile, non ha dimenticato quanto accaduto 15 anni prima ed è più determinato che mai a riportare la legalità a Napoli e restituire la libertà a Mia.

Il racconto di “Gatta Cenerentola” si sviluppa magistralmente, la sceneggiatura scorre gradevole e regala momenti di altissimo livello, grazie a un cast composto da eccellenze del cinema e del teatro italiani. La splendida colonna sonora è opera di Antonio Fresi e Luigi Scialdone. Come un film d’animazione nella struttura più classica, è costellato di brani musicali e no, non sono le canzoncine allegre destinate a diventare tormentoni, ma canzoni dal forte impatto emotivo, che riassumono il meglio dell’eredità musicale partenopea. Perché la Napoli di cui si parla oggi non è altro che degrado, la descrive bene in un monologo O’ Re, che si prende gioco dei suoi concittadini, che a loro volta ridono di se stessi senza voler prendere mai coscienza della realtà. La città della “munnezza”, dello spaccio e della camorra è riassunta in una canzone (ma non solo), il messaggio è incastonato in una narrazione che guarda al futuro in modo non troppo ottimistico – ma c’è ancora uno spiraglio – e rimane costantemente in bilico, in parte protesa verso un passato che fa sospirare, che torna col suono di un mandolino, il verso di una canzone, ma c’è, muta ma non se ne va. La colonna sonora (che porta anche le firme dei Foja e Francesco Di Bella) è quindi fondamentale, un’altra protagonista, se vogliamo, senza dimenticare infatti che a Napoli la musica gioca un ruolo importantissimo e la città ha dato i natali a grandi artisti. Uno dei brani-simbolo è sicuramente “L’erba cattiva” di Enzo Gragnaniello, una consapevolezza del destino di una città che meriterebbe tutt’altro. C’è la denuncia, che è un altro dei fili conduttori della storia: la contrapposizione tra Lo Giusto e Basile, il delinquente e l’intellettuale, quello che la città la vuole spolpare fino all’osso e quello che invece la vuole rendere florida e viva. Tra i due, lo vediamo anche nella realtà, ha sempre la meglio il Lo Giusto di turno, il nome non è casualmente ironico. Dicevamo, c’è però uno spiraglio, la volontà di rinascere. Da qualche parte ci deve essere un Primo Gemito determinato a cambiare le cose e, si spera, qualcuno che sia disposto ad aiutarlo e assecondarlo.

In “Gatta Cenerentola” un altro aspetto che viene affrontato è il ruolo della donna, Maria Pia Calzone regala una splendida versione di Angelica, il simbolo di una donna illusa, non educata al sentimento, che si fa ancora più spietata e rabbiosa per essere stata sottomessa e ingannata. Ma Angelica, così come le sue figlie, non ha termini di paragone, nel degrado ci è cresciuta e non conosce altro. La figura di Basile avrebbe potuto segnare un riscatto anche per lei, oltre che per tutta la città, ma ha preferito farsi trascinare dalle parole di Lo Giusto, sacrificando una vittima innocente: Mia. Quest’ultima non ha bisogno di parole, letteralmente, per esprimere la sua condizione. I segreti della nave sono rimasti custoditi per sempre da Basile, ma i ricordi sono ancora vividi, ritornano con gli ologrammi che si aggirano in tutti i luoghi per ricordare un passato che smania perché non vuole essere del tutto rimosso, quello che tiene ancora in vita Mia, la fiammella di una speranza che davvero è destinata a morire per ultima. Anzi, si spera che non sia destinata a morire affatto. “Gatta Cenerentola” ne è la prova concreta: c’è davvero una Napoli che scalpita, che chiede di rinascere, che crea e valorizza tutto ciò che di buono ha dato al mondo, tutto ciò per cui merita d’essere vissuta, ricordata e omaggiata. Senza rimanere lo scheletro abbandonato di una nave nel porto, tra le ceneri del Vesuvio e la diossina. Questo film è una dichiarazione d’amore alla città, regalata però con la consapevolezza che c’è molto da fare e da cambiare.



Simposio Suino in Re Minore

Poche parole per segnalare anche il corto che precede il film: è diretto da Francesco Filippini e dura dieci minuti. La storia vede protagonisti un maiale e una cuoca anziana in attesa di un marito che non tornerà mai. Per la serie “la quiete dopo la tempesta”, i due finiranno con il litigare e prendere finalmente coscienza dei propri sentimenti. Il contesto ricorda molto “Il castello errante di Howl” e in generale il mondo di Miyazaki, con una casa che vive di vita propria e che, stanca di sentir blaterare, decide di andare via. Frase da immortalare: “Se non mi abbracci sono solo un prosciutto”. Adorabile.


IL NOSTRO PARERE IN BREVE

Poesia al gusto partenopeo - La giovane Mia e la grande Napoli hanno due cose in comune: sono in attesa di riscatto e necessitano d'essere valorizzate.

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