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Giovanni Galeone, 70 anni di calcio

Una vita spesa per il calcio, prima da calciatore, anche se non di primissima fascia, e poi da allenatore ed insegnante di calcio: ora che le luci della ribalta sono lontane, anche dopo aver tagliato il traguardo dei 70 anni Giovanni Galeone fa parlare di sé. Una storia di calcio champagne legata a doppio filo con Pescara e la squadra di calcio biancazzurra, emblema di un’intera Regione, l’Abruzzo, che con lui ha sognato.

Per tutti è stato, è e resterà “Il Profeta” o “Il Messia”, anche se l’età dovrebbe modificare questi appellativi unificandoli ne “Il Saggio”. L’indole, tuttavia, non si può cambiare neppur volendo e l’età che avanza è solo un dato anagrafico per chi, come lui, non può tradire una vita vissuta sempre al massimo.

Giovanni Galeone, è di lui che stiamo parlando, compie 70 anni. Ha scritto pagine indelebili dell’epopea biancazzurra ed è destinato a restare, ad imperitura memoria, come l’allenatore più importante della lunga storia del calcio pescarese.

Due promozioni in Serie A ed una salvezza nella massima serie lo hanno fatto entrare di diritto nel cuore del popolo pescarese. Un carattere vulcanico che si sposa alla perfezione con una città gaudente come Pescara ed un calcio spettacolare e redditizio hanno reso il legame tra ‘Il Gale’ e la città dannunziana inscindibile anche dopo il suo addio alla panchina biancazzurra. Iniziò la sua avventura in riva all’Adriatico con un manipolo di ragazzini destinati a giocare in Serie C e, dopo l’ormai celebre ripescaggio, condusse i suoi uomini in Serie A al termine di una cavalcata trionfale suggellata dalla vittoria finale sul Parma di Sacchi in uno Stadio Adriatico gremito e festante come non mai.

Maestro di calcio e uomo sopra le righe, il tutto racchiuso in una persona. Espugnare San Siro mortificando l’Inter per 2-0 o schiantare la Juve in Abruzzo grazie alle perle di Junior e Pagano: tutto ciò che Galeone toccava diventava oro, come una sorta di Re Mida calcistico che a Pescara aveva trovato il suo regno. Non sono state tutte rose e fiori: esoneri, contestazioni e polemiche non sono mancate, ma il grido “Galeone-Gale-Galeone” è riecheggiato a lungo a Pescara, più forte del fragore delle onde che si infrangono sulla riva. Il secondo approdo in Serie A è stato meno inaspettato del primo, ma ha confermato tutte le caratteristiche dell’uomo e del tecnico Galeone.

Quale altro allenatore, vincendo 4-2 con il Milan degli Imbattibili avrebbe spronato i suoi a cercare il quinto gol invece di difendere il risultato? Quale altro allenatore sarebbe stato in grado di conquistare Roma grazie ad una tripletta di Tita e poi scivolare dalla zona Uefa alla retrocessione senza rinunciare al suo credo calcistico, quel 4-3-3 spettacolare che ha incantato tutta Italia? Il resto è stato un mietere successi altrove (Perugia ed Udine) ed una storia ad intermittenza con Pescara, tra ritorni veri ed ipotesi mai concretizzate. Le sue parole regalate a “Il Riformista” esprimono meglio di ogni altra frase quello che Giovanni Galeone è stato, è e sempre sarà sia come uomo che come tecnico: “La verità è che non sono mai stato invidioso. Giusto un po’ d’invidia nei confronti degli intelligenti e dei colti. Per il resto, me ne sono fregato dei soldi, della fama e dei successi altrui. Quando ho potuto, ho brindato con lo champagne”.

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