Probabilmente un finale migliore per la saga di Harry Potter non poteva esserci. Perché è vero che “Harry Potter e i doni della morte parte II” è un prodotto anomalo (che paga la sua natura di seconda parte di un capitolo cinematografico troncato in due film), ma è proprio questa sua anomalia e alterità rispetto a tutto quanto visto finora nella serie del maghetto occhialuto.
“Harry Potter e i doni della morte parte II” è un film viscerale, sghembo, probabilmente imperfetto, ma anche clamorosamente appagante, dominato da un ritmo frenetico e liberato dal peso di ammorbanti spiegoni e scene ripetitive che si susseguivano di anno scolastico in anno scolastico. Un’opera complementare eppure diversissima rispetto alla prima parte dell’adattamento filmico dell’ultimo romanzo firmato da J.K Rowling. Tanto nel primo film prevalevano l’aspetto introspettivo e di tensione latente, quanto in questo secondo esplode l’azione in maniera intelligente e mai prevaricante, senza sacrificare quindi la componente umana ed emotiva. È anzi quest’ultima pellicola che ci regala alcuni dei momenti più intensi e sinceramente commoventi dell’intera saga (come la rivelazione del passato del professor Piton, forse il personaggio più tragico dell’intera epopea potteriana, o l’incontro tra Harry e i suoi cari scomparsi), riproducendo sul grande schermo, finalmente, la bellezza, la poesia e la disarmante emotività della penna di J.K Rowling. Ed emerge un non banale elogio dell’amore come vero motore propulsivo dell’esistenza di ognuno di noi: un sentimento precluso a Voldemort e tale mancanza e anche la condanna del signore oscuro, così come l’amore (nelle sue molteplici forme) che circonda Harry ne è la sua salvezza. Un film pregno quindi, mozzafiato e assai godibile soprattutto grazie ad una messa in scena sofisticata, quasi claustrofobica nel suo focalizzarsi per buona parte sullo scontro finale tra le mura di Hogwarts. Un vero e proprio assalto a Forte Apache arricchito di buona inventiva e che vira decisamente (con felice intuizione e ottima resa) verso l’epico, ricordando molto la lunga battaglia de “Le due torri”, secondo capitolo dell’altra saga fantasy per eccellenza del nuovo millennio, il Signore degli Anelli. Grande merito va riconosciuto quindi a David Yates che dopo aver diretto due episodi mediocri (anche se nel caso de “Il principe mezzosangue” la parola mediocre è quanto meno generosa) è riuscito a riprendersi alla grande, mostrando una maturità e una consapevolezza registica sorprendenti e insospettabili. In questo secondo film del dittico “Doni della morte” il regista britannico sembra essersi alleggerito dalla zavorra di sceneggiature a dir poco claudicanti e dimostra una buona libertà espressiva e visiva (le schiere di maghi oscuri che marciano all’unisono come soldati; lo scontro a fuoco nella camera delle necessità; il confronto finale tra Harry e voi-sapete-chi) che lascia un certo rimpianto per gli episodi precedenti diretti con poca personalità e coraggio. A corredo di tutto ciò è imprescindibile un comparto tecnico di primissimo piano che comprende la cupa e affascinante fotografia di Eduardo Serra, le splendide scenografie di Stuart Craig (tanto belle che dispiace vederle ridotte ad un cumulo di macerie) e le travolgenti musiche di Alexandre Desplat. Un plauso infine agli attori: da un grandioso (ed era ora!) Alan Rickman a un divertito Ralph Fiennes, passando per i camei di gran classe di fuoriclasse della recitazione made in England come Maggie Smith, Helena Bonham Carter, Gary Oldman o Michael Gambon. Ma la sorpresa è un Daniel Radcliffe finalmente carismatico e convincente e che per una volta non sfigura di fronte ai coetanei e coprotagonisti Emma Watson e Rupert Grint. Finisce così la più longeva saga cinematografica della storia (reboot e prequel esclusi): in maniera roboante e commovente per chi ha iniziato questa avventura da ragazzo e si è ritrovato, strada facendo, adulto: come Harry, Ron, Hermione e i milioni di spettatori e lettori che hanno seguito le loro vicende. Addio Mr. Potter. O forse, semplicemente, arrivederci.