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Henry: la recensione

Presentato al Torino Film Festival del 2010 e uscito nelle sale – solo – dopo due anni, “Henry” è l’ultimo lungometraggio del regista Alessandro Piva (“Lacapagira”, “Mio cognato”). Interpretato da Claudio Gioè (La meglio gioventù, La matassa, Il capo dei capi), Carolina Crescentini (Mine vaganti, Venti sigarette, L’industriale), Paolo Sassanelli (Rosso come il cielo, Ubaldo Terzani Horror Show), Michele Riondino (Il passato è una terra straniera) e Dino Abbrescia (Io non ho paura, Cado dalle nubi), “Henry” mostra la faccia oscura di Roma, e ci racconta una storia di droga ambientata nella periferia della capitale.

Il film

Due poliziotti, il Commissario Silvestri e Bellucci, indagano su un duplice omicidio avvenuto nel quartiere di TorPignattara a Roma. Zelante e rispettoso della legge il primo, ambiguo e con il vizio della cocaina l’altro, saranno i protagonisti di una caccia all’uomo nelle strade della malavita tra gang di meridionali e bande di africani desiderose di conquistare il territorio a suon di affari illeciti. Nel mezzo una coppia come tante, Nina una istruttrice di aerobica e Gianni un ragazzo con problemi di droga che vive alla giornata. Sarà proprio quest’ultimo ad essere accusato dell’efferato crimine.

Henry

Giudizio sul film

Henry è il nome in codice con cui nell’ambiente della malavita romana si identifica la droga. Intorno a quel nome si scatena una orgia di personaggi equamente divisi in buoni e cattivi, con tanto di ingiuste carcerazioni e forze dell’ordine “sopra” la legge. Lo scenario romano amplifica le azioni dei personaggi sfiorando però la caricatura, dopotutto lo stereotipo è dietro l’angolo nelle gesta e nei dialetti dei protagonisti, vedi la poco raccomandabile banda meridionale. I veri protagonisti della pellicola risultano quindi essere i due poliziotti che agiscono all’americana e si comportano alla “romana”.

I personaggi non riescono a seguire il ritmo della città, assolutamente all’altezza nonostante venga mostrata nelle sue arterie periferiche. Quello che viene mostrato da Piva (comunque, regista di talento) è una serie di attori che agiscono individualmente al punto che la storia difficilmente arriva a una soluzione finale corale. Il linguaggio crudo aggiunge, in questo caso, valore alla pellicola, meno le forzature dialettali.

Il prologo del film ci indirizza sulla retta via, smascherando da subito il colpevole e lasciandoci intuire il potere di“Henry”, capace di indirizzare i protagonisti verso un obiettivo comune. Come un moderno Santo Graal tutti vogliono possederlo, smerciarlo e abusarne sia per motivi economici sia per una assuefazione consolidata. E di guai ne combinerà, causa scatenante di una sanguinosa faida multietnica, rappresentata da Piva con un tocco da documentarista alla ricerca della verità.

Commenti finali

Un titolo intrigante, una idea importante, uno scenario adatto e una miriade di personaggi “misti” a livello caratteriale e comportamentale. Spaccato dell’Italia attuale, non solo della capitale, Henry è un tentativo coraggioso di thriller ad incastro, di difficile realizzazione per la cinematografia italiana attuale. E in effetti il film non riesce a ricreare ambientazioni noir da cinema francese (quello sì, in un periodo brillante) perdendosi in una sceneggiatura lacunosa e in una recitazione frettolosa. La bella Carolina Crescentini è forse la nota più lieta insieme al “capo dei capi” Claudio Gioè.

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