Premessa: “I want to be a soldier” non rientrerà di certo tra i migliori film della storia del cinema, ma la visione è consigliata a chi avesse voglia, per una volta, di discostarsi da un’opera leggera e preferisca vedere un film che faccia riflettere sulla violenza della nostra società. Violenza che non è da intendersi solamente a livello fisico, anzi, piuttosto dal punto di vista psicologico. Anche se la storia in questione racconta di un caso estremo, il bombardamento psicologico che subiamo quotidianamente attraverso i media, non deve passare inosservato. Diretto da Christian Molina (Valerie – Diario di una ninfomane), il film ci mostra senza troppi fronzoli quel che accade nella società odierna, senza porsi alcun problema nel criticare quegli aspetti che si rivelano dannosi soprattutto per i bambini, che compromettono una volta per tutte il loro futuro. Alex (Fergus Riordan) ha dieci anni, l’arrivo di due gemellini sconvolge la sua vita in famiglia, perché i genitori non possono più rivolgergli le stesse attenzioni di prima. Il bambino sogna di diventare un astronauta, al suo fianco c’è sempre il Capitano Harry (Ben Temple), suo amico immaginario che lo aiuta a superare i momenti di solitudine. Con l’arrivo di un fratellino ed una sorellina, Alex si sente messo da parte e per colmare il vuoto, chiede di poter avere una tv in camera, come tutti i suoi amici. Sarà da qui che Alex inizierà ad osservare la realtà che la circonda, il tubo catodico rigurgita nella sua stanza immagini di guerra e violenza, che sia quella tra uomini o animali per Alex non ha importanza purché vi sia del sangue. Così il bambino decide di abbandonare il Capitano Harry per il sergente Cluster, suo alter ego (interpretato sempre da Temple), che lentamente lo conduce nel mondo della violenza. Alex cambia e cambia lo scenario della sua stanza, dai mondi stellati e lo spazio si passa ai poster dei militari e le bandiere americane, medagliette e soldatini, il mito di Hitler. I genitori non si accorgono del cambiamento del figlio fin quando ad interpellarli non è la scuola, a causa dei danni che ogni giorno Alex provoca. Il bambino viene seguito da uno psicologo, intepretato da Robert Englund (vi dice niente Freddie Krueger?), ma rimane combattuto tra i suoi vecchi sogni e le nuove aspirazioni, la guerra e la violenza. Un tormento interiore che lo porterà inevitabilmente ad una scelta. Basta prestare ascolto al monologo di Robert Englund, lo psicologo che parla ai genitori di Alex, per capire qual è il pensiero di Christian Molina riguardo la società odierna. La tv è uno strumento che va utilizzato con estrema cautela, i bambini assorbono il lato peggiore che quel mondo ha da offrire e lo riversano nel loro quotidiano, specialmente quando non ci sono dei genitori pronti a supportarlo e rimetterlo in riga. “I want to be a soldier” è un film che ha suscitato interesse proprio per questa tematica, nella pellicola appare anche la “nostrana” Valeria Marini nei panni dell’insegnante, l’attrice fa anche da produttrice del film. Come già detto, non è un’opera impeccabile e indimenticabile, si tratta di una storia che porta una situazione all’estremo, ma non racconta nulla di improbabile, soprattutto ai nostri giorni di casi come quello di Alex e dei suoi compagni, purtroppo se ne vedono parecchi ed in questo caso abbiamo la possibilità di assistere ad un’ottima performance del giovanissimo Fergus Riordan. Dopo “This is England” ecco che ritorna una pellicola capace di dimostrare quanto sia importante che i più piccoli vengano tutelati e non assorbano la violenza che la società ha da offire e di quanto i primi anni della vita siano fondamentali per l’educazione di coloro che in futuro dovranno viverla e forgiarla, quella società. E’ interessante osservare le scelte registiche di Christian Molina, la fotografia è molto buona e il regista continua a rimarcare la solitudine del bambino (padre e figlio separati da un muro, un’inquadratura davanti allo specchio), tormentato da una personalità che nel film troviamo in forma concreta e che ha il volto di Ben Temple, dapprima rassicurante astronauta e successivamente un rabbioso sergente che ricorda molto il Sergente Hartman di “Full Metal Jacket”. In “I want to be a soldier” c’è spazio anche per Danny Glover, che apre il film ancor prima dei titoli di testa e che lo conclude, quindi non sparite appena iniziano i titoli di coda, ha da regalare una riflessione molto importante nei panni del preside. “I want to be a soldier” tratta anche la tematica del bullismo, diventata una vera e propria piaga in questi ultimi anni. Senza peli sulla lingua ci mostra bambini di dieci anni che fumano spinelli in bagno e torturano animaletti indifesi, sfogano le loro frustrazioni sui compagni e si preoccupano della marca dei vestiti che indossano. Non c’è nulla di fantascientifico in tutto questo, sono storie di tutti i giorni. D’altro canto c’è la figura dello psicologo, in America un’immagine problematica perché troppo spesso i comportamenti scorretti dei bambini vengono risolti con delle pilloline che li lasciano storditi e non con seri metodi educativi. In questo contesto e sicuramente non a caso, lo psicologo utilizza un altro metodo (se funzionale o meno, lo scoprirete voi stessi) che non contempla medicinali, ma il nostro Alex si ritrova a guardare la sua amata tv e delle immagini dolorose, il dottore tenta di spiegargli come distinguere il bene dal male ed anche qui sembra esserci una citazione kubrickiana, perché ricorda vagamente un altro Alex, quello di “Arancia Meccanica“, ripulito e ributtato nella società. “I want to be a soldier” è un film che fa riflettere molto: sulle problematiche delle famiglie, la scarsa capacità dei genitori di stare attenti ai loro figli, la poca disponibilità all’ascolto che genera, man mano, un esercito di giovani arrabbiati e rancorosi, carichi di sentimenti che non possono fare a meno di sfociare in un’inarrestabile e cieca violenza. Voto: [starreview tpl=16]