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Il Cavaliere Oscuro – Il Ritorno: una seconda recensione

Con il terzo capitolo della trilogia batmaniana, Christopher Nolan prosegue quel percorso di decostruzione iconica dell’Uomo Pipistrello, restituendo maggiore umanità al suo protagonista e arricchendo la narrazione supereroistica di uno spessore filosofico e sottotesti politici alieni alla saga prima di “Batman Begins”, reboot concettuale prima ancora che cinematografico.

Ne “Il Cavaliere Oscuro – Il Ritorno”, Bruce Wayne (Christian Bale) ci appare fin dalle prime immagini come un eroe ferito, stanco, disilluso, un esiliato volontario da una vita che gli ha riservato solo dolore e sofferenza. Per rinascere e ritrovare veramente sé stesso, Wayne dovrà affrontare la paura della morte.

Con “Il Cavaliere Oscuro – Il Ritorno” si conclude quindi il viaggio di formazione introspettiva del supereroe iniziato in “Batman Begins”, laddove Wayne per combattere le sue paure doveva “diventare paura”. Ne “Il Cavaliere Oscuro – Il Ritorno” la sfida di Wayne è quella di prendere consapevolezza dell’impossibilità di rifuggire completamente la paura, in quanto elemento imprescindibile del proprio animo, e accettare di convivere necessariamente con essa. Batman/Wayne non è quindi un eroe senza macchia e senza timori, ma nasconde debolezze, determinato fino all’ostinazione, fallibile e perciò più umano.

Ma contrariamente a quanto era successo nei due precedenti capitoli (soprattutto nello splendido “Il Cavaliere Oscuro”), Nolan sacrifica tale componente riflessiva in nome di una spettacolarità frastornante, eccessiva che finisce con l’inficiare e relegare in secondo piano gli aspetti antropologicamente più interessanti del suo film.

Il poster de Il Cavaliere Oscuro – Il Ritorno

“Il Cavaliere Oscuro – Il Ritorno” è più politico in superficie, ma decisamente meno in profondità del suo predecessore. Il populismo anarcoide incarnato da Bane e il presunto conservatorismo di fondo del film lasciano il tempo che trovano: troppo abbozzato e superficiale il primo e forzatamente appiccicato addosso al film (soprattutto dalla critica d’oltre Oceano) come chiave di lettura strumentale il secondo per essere realmente credibili e convincenti.

L’impressione è che Nolan sia preoccupato soprattutto di concludere la sua trilogia in modo indimenticabile, sbalorditivo, ponendosi l’obiettivo di superare gli straordinari risultati raggiunti con “Il Cavaliere Oscuro”. Ma la smodata ambizione del suo autore finisce con il soffocare il film in una morsa di gigantismo tanto ricercato e studiato quanto freddo e respingente.

Nolan gioca a costruire un impianto narrativo e spettacolare larger than larger than life, accumulando personaggi, linee narrative, svolte e colpi di teatro, scene pensate per essere memorabili ma alla lunga prevedibili nella loro ipertrofica ricerca della grandezza a tutti i costi.

Come nel film precedente Nolan cerca di mettere in scena la caoticità cronica del nostro tempo, ma in più di un’occasione sembra perdere il controllo di questa sua vera e propria macchina da guerra filmica, enorme per dimensioni, ambizioni e aspettative. Il racconto de “Il Cavaliere Oscuro – Il Ritorno” cade quindi spesso e volentieri in una prolissità e in una macchinosità narrativa finora sconosciute al cinema dell’autore inglese.

Christopher Nolan sul set de Il Cavaliere Oscuro – Il Ritorno

Di per sé imperfetto nella sua versione filmica, “Il Cavaliere Oscuro – Il Ritorno” viene poi maltrattato dal doppiaggio italiano. Tom Hardy è penalizzato da una maschera avvolgente che ne preclude qualsiasi mimica facciale, ma la sua interpretazione è letteralmente distrutta dall’imbarazzante doppiaggio italiano. Filippo Timi è fastidioso e alla lunga inascoltabile nella sua prova da doppiatore, macchiettistica e inutilmente sopra le righe.

Qui la nostra prima recensione.

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