È il giorno di Lars Von Trier al sessantaquattresimo Festival di Cannes. Il regista danese porta in concorso il suo ultimo film “Melancholia”. In concorso anche “Hanezu No Tsuki” di Naori Kawase, la regista forse più enigmatica del nuovo cinema nipponico. Grande attesa poi per “La Conquète” di Denis Podalydès, film che racconta la scalata al potere del presidente francese Nicolas Sarkozy, focalizzandosi principalmente sulla lunga attesa nella notte delle elezioni del 6 maggio 2007. “Melancholia” Provocatore e artista votato al culto della personalità e del proprio smisurato ego, se ce n’è uno, Lars Von Trier torna a Cannes, dopo aver sconvolto la Croisette due anni fa con il discutibile “Antichrist”, capace comunque di portarsi a casa un premio per la migliore interpretazione femminile attribuito a Charlotte Gainsburg. Film potente e controverso, come tutto il cinema di Von Trier, questo “Melancholia”. Un film che durante la proiezione per la stampa ha nuovamente diviso (esattamente come era capitato con lo splendido “The tree of life” di Terrence Malick) il pubblico degli addetti ai lavori. Grandi applausi, ma anche altrettanti grandi fischi e manifestazioni di dissenso. “Melancholia” si pone l’obiettivo di raccontare il profondo disagio dell’essere umano nella società contemporanea, un disagio destinato a scaturire nella distruzione e nell’autodistruzione. Si racconta quindi una fine del mondo senza speranza, ma anche senza città sconvolte da onde anomale o da terrificanti terremoti. È una fine del mondo intesa a livello personale, intima, vissuta sulla propria pelle da due sorelle che più diverse non potrebbero essere. L’orrore, il disagio, il senso incombente di fine e cataclisma vissuto interiormente, trattato da un punto di vista psicologico e quindi tralasciando le convenzioni spettacoli dell’ormai fin troppo abusato film catastrofico, per lasciare invece spazio alla presentazione di un disastro personale, umano, di chi deve accettare la sua fine e quella dei suoi cari senza nessuna speranza, perché, forse, in questo universo non c’é davvero nessuno oltre noi. “Melancholia” così come gli antichi chiamavano quel senso di inadeguatezza, di umore nero e di depressione che può cogliere ognuno di noi e che pare aver colpito lo stesso Von Trier. Da qui la visione cupa, fosca e priva di appigli che il regista dà sul mondo. Il film è diviso esattamente in due parti ma molto diverse. Nella prima c’é la storia di una delle due sorelle Justine, interpretata da Kirsten Durst. Una donna molto depressa, infelice, insoddisfatta della vita e che tenta la strada del matrimonio per uscire da un cul de sac di distruzione e autocommiserazione. Ma il suo matrimonio, a cui è dedicata tutta la prima parte del film, è un vero disastro. Justine fugge con il suo vestito bianco da sposa nel parco della villa dove si svolge la cerimonia, fa pipì tra gli alberi, violenta uno sconosciuto sul prato dopo essersi rifiutata al neo marito. Su tutto questo un cielo su cui incombe una tragedia annunciata. Claire (che ha il volto di Charlotte Gainsbourg, ormai assoldata come nuova musa del regista danese), la sua famiglia e ancora Justine sono invece i protagonisti della seconda parte del film. Ormai ciò che era solo un presentimento è diventato incubo. Melancholia, un pianeta più grande della terra dieci volte, sta per inghiottire il mondo. C’é forse solo una fievole speranza che ciò non accada. Nell’enorme villa dove Claire vive con la famiglia, marito e bambini, si attende quello che sta per accadere. I cavalli sono terrorizzati nella stalla, si fanno congetture, si guarda ossessivamente il cielo, quel pianeta che si avvicina, e per le due sorelle è inversione di ruoli. Justine, votata al pessimismo, trova quasi naturale che tutto scompaia, mentre la vitale Claire, che ama la vita, piange e ha paura. La tragedia finale ad ogni modo pare inevitabile. “Melancholia” si apre con immagini suggestive accompagnate dalle note del preludio di “Tristano e Isotta” di Richard Wagner. A proposito di tale scelta Von Trier ha dichiarato:
Ho sempre amato l’idea di un prologo legato a un tema musicale. L’avevo già sperimentato in “Antichrist”.
Il regista ha inoltre spiegato l’influenza che il suo stato d’animo ha avuto nella stesura della sceneggiatura del film:
Durante le riprese di “Antichrist” sono stato male, ho passato davvero un brutto periodo. Stavolta invece mi sono divertito molto.
L’ idea di “Melancholia” risale a uno scambio di lettere tra il regista e Penelope Cruz, in cui l’attrice spagnola raccontava il proprio amore nei riguardi della piece del drammaturgo Jean Genet, “Le serve” e la volontà di ricavarne una trasposizione cinematografica. La Cruz avrebbe dovuto lavorare con Von Trier, ma è stata poi sostituita da Kirsten Dunst e l’idea del “Le serve” ha lasciato spazio ad una rivisitazione de “Le tre sorelle” di Anthon Cechov (qui ridotte a due) impregnata di una melanconia e di un pessimismo che sembrano aver conquistato, almeno in parte, la Croisette. Si attendono conferme dalla proiezione per il pubblico di questa sera. Non sembra comunque che ha Von Trier importi molto il consenso popolare, anche considerando certe incommentabili dichiarazioni rilasciate durante la conferenza stampa:
Hitler mi è simpatico. Sto soltanto dicendo che capisco l’uomo. Certo, non è proprio quello che definiresti un bravo ragazzo, ma, sì, ho capito molto di lui e mi fa un po’ di simpatia. Su ragazzi, non sono mica per la seconda guerra mondiale. E non sono contro gli ebrei. Mi sento vicino agli ebrei, ma non troppo, perché Israele è un dito nel culo. Credevo di avere origine ebraiche e invece ho scoperto di essere un vero nazista. Ovviamente ha fatto molte cose sbagliate, assolutamente, ma riesco a immaginarlo mentre sedeva nel suo bunker quando tutto era finito.
Ogni ulteriore parola pare superflua.