Un uomo e una donna partono alla ricerca di se stessi, si incontrano per caso e nel loro percorso iniziano a trovare le risposte: “Il mondo di Arthur Newman” è il film che segna l’esordio di Dante Ariola sul grande schermo, il regista fino ad oggi si è occupato prevalentemente di spot pubblicitari.
Per il suo debutto nel cinema ha però deciso di fare le cose in grande, scegliendo due tra i migliori attori britannici, il premio Oscar Colin Firth e Emily Blunt, confezionando un film che risente di tutti i difetti di un’opera prima ma concettualmente azzeccato e capace di far riflettere.
Wallace Avery (Colin Firth) si sente un fallimento, il suo matrimonio è naufragato e il figlio, ormai adolescente, lo odia; non va a gonfie vele nemmeno la sua relazione con la sua collega, Wallace sente il peso del passato ma ancora di più quello del presente, rimpiangendo l’idea di non aver intrapreso altre strade nella sua vita. Arrivato al limite della sopportazione, decide di inscenare la sua stessa scomparsa e lascia tutto e tutti per iniziare da capo, sotto il falso nome di Arthur Newman, un campione di golf diretto verso l’Indiana. La sua voglia di ripartire si vede fin dal nome, “Newman” significa letteralmente “uomo nuovo”. Appena all’inizio del suo cammino, Wallace si imbatte in una ragazza problematica, Charlotte (Emily Blunt) e la salva dai suoi guai, per poi scoprire che anche lei gira sotto falso nome e si fa chiamare Michaela. I due si mettono in viaggio insieme, nel tentativo di dare un senso al loro futuro, si raccontano le loro storie e i loro sentimenti cambiano nel corso della conoscenza, fatta di motel e case di estranei in cui intrufolarsi per rubare, almeno per poco, le vite perfette degli altri.
Dante Ariola ne “Il mondo di Arthur Newman” parte abbastanza bene, presentandoci il personaggio di Wallace in tutte le sue sfacettature: impossibile negare la bravura di Colin Firth che forse, però, per una volta di troppo finisce nel ruolo dell’english man, quello che interpreta in “A single man“, per intenderci, ma riesce a trasmettere al pubblico tutta la sua frustrazione e la voglia di mollare tutto. L’errore più grande del regista, è avere affrontato la storia con grande superficialità, soffermandosi su scene meno essenziali tra salti temporali che mandano un po’ in confusione e regalando un finale debole e anch’esso superficiale che lascia un po’ perplesso lo spettatore, anche se potrebbe rientrare nei suoi intenti effettivi, ovvero regalare un senso di incompletezza che però non si adegua del tutto al finale della pellicola. Emily Blunt incarna molto bene il ruolo della ragazza in fuga da un passato difficile e ancora indecisa sul da farsi, che non riesce a non legarsi a quello che diventa il suo punto di riferimento, l’unico della sua vita, Wallace/Arthur.
La storia de “Il mondo di Arthur Newman” è una di quelle in cui è facile rispecchiarsi, che prende spunto da altre opere note e che sfrutta metafore facilmente comprensibili: si parte dal viaggio e dalla strada, da sempre sinonimo di percorso alla ricerca di sé; la voglia di cambiare identità e di realizzare gli obiettivi mancati nella vita e d’altro canto la poca voglia di prendersi delle responsabilità; infine, la voglia di risolversi, che richiede un’incredibile forza di volontà.
Dante Ariola commette l’errore di soffermarsi poco sui sentimenti, regalando in mezzo al dramma dei due protagonisti qualche briciola di comicità ben riuscita e un dramma parallelo, quello del figlio di Wallace che, dopo la scomparsa del padre, inizia ad avvicinarsi a lui, cercando indizi e storie per comprendere la sua vita e quello della compagna, che lo reputa noioso ma non riesce a fare a meno di amarlo.
Se da una parte il finale risulta scontato e prevede il “ritorno al nido” di entrambi i personaggi, è il modo in cui è gestito dalla regia che lascia un senso di incompletezza, come se la storia fosse stata mozzata proprio nel momento in cui i protagonisti erano arrivati alla risoluzione delle loro personalità. Arrivarci da soli è facile, ma sarebbe stato bello, anche per migliorare il risultato complessivo del film, affrontare il finale con più tenacia e meno superficialità. Se è vero che proprio come Wallace e Charlotte nella vita continuiamo a porci domande che non trovano sempre risposta e di certo non ne trovano di immediate, per una volta sarebbe stato piacevole trovarne una, nelle vite degli altri, che sono sempre un po’ più perfette, soprattutto nei film.
Vi lasciamo ad una clip-assaggio de “Il mondo di Arthur Newman”, buona visione!
[jwplayer config=”30s” mediaid=”76054″]