Alba Rohrwacher, attrice in ascesa, in un film sull’anoressia. “In carne e ossa” è diretto da Christian Angeli, ma è una pellicola ambiziosa, forse troppo, e non riesce nel suo intento.
Siamo in una villa solitaria, il mondo intorno sembra non esistere, un elemento che mette in risalto la condizione della famiglia protagonista del film. Tre persone che vivono sotto lo stesso tetto, ma isolate completamente l’una dall’altra, e a dimostrazione della tristezza di questa situazione c’è l’aspetto decadente della villa, i colori cupi delle stanze, la noncuranza dei dettagli e di tutto quel che c’è intorno, la camera da letto della ragazza che quasi mette angoscia. Tre personaggi abbandonati al loro destino, come barche alla deriva, che aspettano solamente che qualcosa, qualcuno, li travolga. Così arriva François, psichiatra prodigio, che irrompe nella vita di Edoardo e Alica, giunti alle soglie del loro venticinquesimo anniversario di matrimonio, ma soprattutto nella vita di Viola, venticinquenne anoressica ed autolesionista. Per buona parte dell’inizio del film Viola non viene mostrata in volto, di lei conosciamo i tagli sulla pelle, i capelli biondi e scompigliati, i diari e la sua passione per i libri. Dei suoi genitori invece vediamo un rapporto logorato dal tempo, forse iniziato già male molti anni prima, tradimenti e parole non dette, silenzi per non spezzare equilibri precari.
L’equilibrio della famiglia si basa sulla malattia di Viola, che vive con addosso il risentimento di una madre che non l’ha mai desiderata e la figura controversa del padre. François è una ventata d’aria fresca in famiglia ed è anche il simbolo di una speranza: quella di poter vedere Viola finalmente libera dal suo male, capace di tornare nel mondo ed affrontare problemi e paure come ogni altra persona. Invece Viola corre tra gli alberi o passa il suo tempo chiusa in camera a divorare libri, che divengono poi spunto di teorie sull’amore, sulla vita e sulla morte che tanto desidera. Ma François è anche la tentazione di Alica, è un uomo che cerca di salvare i suoi pazienti, almeno in apparenza, ma necessita, forse più di loro, di essere salvato. Un’opera profonda, che scava nei sentimenti umani e nella psicologia dei personaggi, ma soprattutto affronta un tema delicato come l’anoressia, oltre alle dinamiche di una famiglia assolutamente negativa. Christian Angeli in realtà poggia il suo lavoro su basi troppo precarie perché possa riuscire realmente affascinante, arrivare fino all’ultima scena è impresa non da poco, i dialoghi sono flemmatici anche quando dovrebbero avere più vita, ogni scena sembra essere priva di intensità, tutto accade perché deve accadere, i minuti scorrono senza che venga in mente una motivazione reale per convincersi che sia giusto continuare a guardare fino alla fine.
Se questa è la miglior interpretazione di Alba Rohrwacher, non oso immaginare come potrebbe essere la peggiore. Come tutto il resto del film, il suo complesso personaggio non viene presentato come dovrebbe, non fa giustizia a Viola e alla sua malattia, che a volte sembra addirittura passare in secondo piano per lasciare spazio alle sue turbe ormonali. Ancora peggio si potrebbe dire di Ivan Franek, per nulla convincente nel ruolo dello psichiatra giovane e brillante, piuttosto appare sempre stanco e poco appassionato, rispetto a quel che dovrebbe dimostrare. Seguono la scia del film e dell’assenza di corposità dei personaggi anche Luigi Diberti e Maddalena Crippa che, attaccata al suo pianoforte scordato, sembra una donna che non accetta la menopausa e, come la figlia venticinquenne, è in preda a squilibri ormonali, se ne infischia del marito, quasi spera di vederlo morto, ma al contempo non ha il coraggio di mollare la presa. Nel complesso la sua recitazione, però, sembra essere più adatta ad un teatro che al grande schermo. Gli equilibri di questa famiglia vengono spezzati quando Viola inizia a prendere coscienza e decide di reagire alla sua malattia. La situazione si capovolge: da debole, Viola diventa l’elemento forte della famiglia, che si sgretola intorno a lei, figlia cresciuta per anni lontano dai genitori che non la desideravano. Ma nemmeno una famiglia disintegrata viene descritta in maniera ampia. Tra inquadrature traballanti e scene spezzate, ogni cosa si chiude in modo superficiale. Peccato, perché la profondità dell’argomento potrebbe dar vita ad un’opera di grande spessore, ma non è il caso di “In carne ed ossa“, deludente e incapace di intrattenere così come di regalare anche il minimo accenno d’emozione. Freddo, proprio come i suoi personaggi.