James Wan, reduce dal successo di “The Conjuring”, è il protagonista dietro la macchina da presa di “Insidious 2- Oltre i confini del male”, sequel della omonima e fortunata pellicola del 2010 prodotta da Oren Peli (“Paranormal Activity”) e scritta da Leigh Whannell, autore insieme allo stesso Wan del brillante “Saw l’enigmista”.
Protagonisti di “Insidious 2”, Patrick Wilson (ormai attore feticcio del cineasta malese), Rose Byrne, Barbara Hershey e il piccolo Ty Simpkins – già presente nei panni di Dalton Lambert nel primo episodio- che a soli dodici anni può già vantare una ricca filmografia alle spalle che passa dall’esordio in “La guerra dei Mondi” fino ad “Iron Man” di Shane Black.
Trama
Per dimenticare la terribile esperienza vissuta anni prima, la famiglia Lambert si trasferisce in una nuova casa dove provare a ricominciare una nuova vita insieme al piccolo Dalton che sembra essersi lasciato alle spalle il suo passato da “viaggiatore” di spaventosi universi paralleli. Nonostante i tentativi ipnotici della medium Elise il contatto con l’altro mondo non si è però interrotto e ben presto il bambino e i suoi genitori dovranno, ancora una volta, lottare contro delle oscure presenze.
Giudizio
Finale aperto e un imponente successo al botteghino: sono questi gli ingredienti primari che hanno portato alla realizzazione di un sequel che non riesce a tenere il passo con l’originale. Vuoi per la ripetitività della storia, vuoi per una scrittura questa volta sbadata (taluni dialoghi risultano veramente striminziti ed approssimativi, arrivando a sfiorare una involontaria comicità, male assoluto per una pellicola dell’orrore) vuoi per un cast incapace di rendere credibili i propri personaggi.
Se il primo “Insidious” risultava essere un brillante e raffinato film dell’orrore, originale nella sua esplorazione di un genere, come quello della possessione e delle case infestate, allargato a un suggestivo e terrificante aldilà, questo secondo capitolo pecca di brillantezza in una sfilata paurosa ma prevedibile di entità artefatte mai realmente convincenti. L’abbondanza di effetti sonori, vero e proprio marchio di fabbrica del regista malese che dimostra ancora una volta di voler rimanere ancorato al genere di riferimento rispettandone alcune prassi ormai consolidate, è utile per la creazione di una atmosfera comunque inquietante e sospesa soprattutto a causa della difficile decifrabilità del capofamiglia. Non manca un tocco di perturbante (anche in questo caso si tratta di una consuetudine nel cinema di Wan dal pupazzo di “Saw” e “Dead Silence” alle bambole di questa pellicola) e una discesa in un vecchio ospedale abbandonato ed infestato. Nulla di nuovo è vero e là dove manca l’innovazione la messa in scena diventa mero esercizio stilistico.
Il cast
Patrick Wilson, ormai protagonista quasi esclusivamente in pellicole di genere horror, appare goffo nella sua presunta crudeltà arrivando a proporci un personaggio banalotto e ben poco incisivo. Stereotipato nel modo di agire e scontato nelle movenze e nella mimica facciale. Non convince neanche l’interpretazione di una Rose Byrne incapace di trasmettere empatia e relegata in un ruolo anonimo.
Commenti finali
James Wan evidentemente affezionato al “prodotto”, confeziona un film con chiari riferimenti al cinema dell’orrore dei primi anni settanta, sia a livello di male-up che di grafica, evitando effetti computerizzati ma allo stesso tempo proponendoci dei personaggi dalla scarsa caratterizzazione e un ciondolare tra terreno ed ultraterreno che rimane esclusivamente in superficie. Non affondando il colpo si limita a trucchetti da abile mestierante che alimentano la scena, a tratti spaventano anche, ma non risultano pienamente funzionali per la copertura di un contesto ampio ed egregiamente delineato nel primo capitolo di quella che, considerando ancora una volta il finale aperto, si presume possa divenire una saga horror.