Accade spesso che il destino si presenti quanto mai acre. La storia di Jeff Buckley ha un retrogusto amaro, perchè risulta incompiuta, come una ciminiera che non fuma. Chissà quali erano i pensieri che andarono a mischiarsi tra i turbini del Wolf River in quel maledetto 29 Maggio 1997. Il corpo del cantautore statunitense si perse così, come si perde un appuntamento. Fu ritrovato pochi giorni dopo per caso. Come per caso la morte arriva senza preavviso e porta via quanto di migliore ci sia.
Perchè Jeff Buckley, seppure il suo decesso sia sopraggiunto a soli 31 anni, aveva già iniziato a scrivere un pezzo importante di storia della musica. Con quella voce avvolgente, capace di trasformare una già sensazionale “Hallelujah” targata Leonard Cohen in un’esperienza metafisica. Spinta al di là dell’immaginario, non solo per quella chitarra accarezzata con laconica dolcezza, ma anche per quella voce così sincera e pura. Capace di distruggere ogni certezza, di creare mondi in cui la tristezza è un’aspirazione superiore di felicità. Credo che, per questo, Jeff Buckley sia uno degli artisti più difficili da collocare: il suo stile, la sua capacità di trasudare emozioni, la sua franchezza, appartengono ad un altro pianeta. La sua scomparsa lascia un buco difficilmente colmabile. E non perchè ci ha lasciati: è facile ignorare un personaggio sino a che non si può fare altro che commemorarlo. Jeff Buckley non venne mai ignorato, il pubblico si accorse sin da subito che quel viso pulito nascondeva un talento unico. Lo spirito artistico che non puoi coltivare, perchè se sei fortunato ci nasci, oppure ti devi rassegnare all’evidenza. Puoi forse ereditarne un po’: il padre altro non era che Tim Buckley, altro grandissimo interprete vocale e interessante sperimentatore. Ma Jeff non ha avuto il tempo per distaccarsi da quel cognome così pesante, di dimostrare che si può superare anche un maestro che impregna ogni giorno le mura di casa con il suo geniale estro. La sensibilità, la capacità di parlare a cuore aperto di Buckley rimarranno una delle più importanti eredità musicali lasciateci prima del nuovo millennio. E ricordarlo, ascoltarlo, sono gli unici mezzi che abbiamo per continuare a farlo vivere, così come lui stesso ci cantava in “Lover, you should’ve come over“: “the tear that hangs inside my soul forever “. Speriamo che anche la voce di Jeff continui a restare sospesa nella nostra anima, per sempre.