La-bas è un film coraggioso. “Suicida” l’ha definito il regista Guido Lombardi in conferenza stampa. D’altra parte un’opera prima con i sottotitoli, parlata in inglese, francese e dialetto napoletano, con attori non professionisti, che tratta il tema dell’immigrazione, non è certo un film che tutti andrebbero a vedere per una serata di relax. Ma La-Bas è un film necessario che andrebbe proiettato nelle scuole e nella stessa Africa, per far capire agli africani che non esistono terre promesse in cui il lavoro si trova con facilità e le strade sono lastricate d’oro.
Siamo a Castel Volturno, circa trenta chilometri da Napoli. Qui il 18 Settembre 2008 un commando di camorristi irrompe in una sartoria di immigrati africani. Sparano all’impazzata un centinaio di proiettili. Ammazzano sei ragazzi di colore e ne feriscono un altro gravemente. Sarà lui, sopravvissuto fingendosi morto, il testimone chiave di un processo che vide i colpevoli pagare il logo gesto razzista e disumano.
“La-Bas” non è la cronaca di quella che venne chiamata “la strage di Castel Volturno”, ma di quella strage l’opera prima di Guido Lombardi si nutre, si (e ci) immerge, per arrivare al cuore ed al sangue di una vicenda simbolo, per far conoscere un mondo che i più ignorano e in molti sfruttano senza pietà.
“La-Bas” è la storia di Yussouf, arrivato in Italia dall’Africa spinto dalle promesse dello zio di un lavoro onesto. Incontrerà varia umanità e conoscerà l’umiliazione di vendere fazzoletti davanti ad un semaforo e di lavorare per pochi spicci sotto le dipendenze di un italiano sfruttatore, per poi passare, insieme allo zio, a trafficare in droga, pericoloso ma redditizio. E pensare che Yussouf ha l’animo di un artista, fa sculture ed il suo sogno è quello di comprare un costoso macchinario per poi portarlo in Africa e lì lavorare.
Invece finirà in mezzo ad un brutto giro di camorristi, pizzo, droga, sangue, vendette, e Yussouf conoscerà la paura e la violenza.
“La-Bas” è un romanzo criminale all black, non esente da difetti (caratteri troppo schematici; una regia a tratti troppo televisiva) ma viscerale e sentito dal regista e dai produttori. Gli attori, tutti rigorosamente non professionisti – tranne Esther Elisha – aggiungono al film quel sapore di realtà e di umanità che arriva direttamente in faccia allo spettatore, coinvolgendolo e turbandolo. In questo Guido Lombardi è bravissimo, aiutato dalle location reali e dai volti dei suoi protagonisti: il regista attacca la telecamera alle loro facce e non molla mai la presa neanche nelle situazioni più torbide, violente e disperate, dimostrando di avere le idee chiare sulla direzione da far prendere al film e sull’effetto che vuole suscitare negli spettatori.
A margine di questa recensione, una nota di cronaca: è morto improvvisamente pochi giorni fa, quindi poco prima dell’uscita del film, Joseph Ayimbora, ghanese, residente in una “località protetta” nei pressi di Caserta. Era l’unico sopravvissuto alla strage del 18 settembre 2008. Si era salvato fingendosi morto e benché gravemente ferito, aveva, con la sua testimonianza consentito l’arresto di tutti gli esecutori della strage: Giuseppe Setola, Giovanni Letizia, Alessandro Cirillo, Davide Granato, Antonio Alluce. Qui di seguito una piccola testimonianza del regista e dei produttori del film (Dario Formisano, Gaetano Di Vaio, Gianluca Curti), raggiunti dalla notizia:
Avevamo appena corretto il suo nome nella didascalia finale del nostro film. Nella copia del film presentata a Venezia, mancava una “i”, tra la “y” e la “m” del cognome, e questo piccolo errore, forse una traslitterazione sbagliata, ci è sembrato comunque da correggere. Un segno di rispetto per una persona che non abbiamo conosciuto ma che avevamo solo poche settimane fa ammirato in tv, nella bella ricostruzione che Un giorno in pretura ha fatto del processo di Santa Maria Capua Vetere agli stragisti di Castel Volturno. Un uomo tutto d’un pezzo, quasi spiazzante nel suo coraggio, forte e necessario. Con il quale senza esitazioni andava a riconoscere i volti degli assassini dei suoi amici. Chissà quanto consapevole del destino di clandestinità e protezione che l’aspettava.
Ci siamo detti che sarebbe stato bello e interessante coinvolgerlo in qualche modo nel lancio del nostro film, sottrarlo alla routine della scorta, riuscire a farglielo vedere, discuterne con lui.
Non era facile e adesso non è più possibile. Joseph, l’ingegnere imprenditore poco più che trentenne, che solo l’ex sindaco di Castel Volturno continua a credere un delinquente, al punto da disertare la scoperta della targa commemorativa della strage con il suo nome accanto a quello delle sei vittime, è morto anche lui. Per un aneurisma improvviso, solo l’esame autoptico dirà quanto legato al trauma e alle ferite (una decina, da armi da fuoco) riportate nell’agguato del 18 settembre 2008. È comunque la settima vittima della strage “di San Gennaro”, anzi l’ottava se nel conto mettiamo Miriam Makeba, portata via da un malore anche lei a Castel Volturno, dopo aver cantato nel concerto commemorativo della strage voluto pochi mese dopo l’eccidio da Roberto Saviano.
Noi non abbiamo conosciuto Joseph Ayimbora, ma per quel che serve ci stringiamo alla moglie e al figlio piccolo che aveva chiamato Alessandro, come il primo commissario di P.S. ad avergli fatto da capo scorta. E quella didascalia attraverso la quale dedichiamo a lui e ai suoi compagni il nostro film ci sembra in queste ore più che mai necessaria.
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