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La leggenda del cacciatore di vampiri: la recensione

Abramo Lincoln è stato uno dei Presidenti degli Stati Uniti più influenti. Primo dei repubblicani, verrà ricordato per la lotta contro la schiavitù da lui abolita nel 1965, anno della sua morte avvenuta al Ford’s Theatre di Washington mentre assisteva, insieme alla consorte, alla rappresentazione Our American Cousin di Tom Taylor. Di Lincoln sappiamo molto, le biografie si sprecano e il ricordo del sedicesimo Presidente degli Stati Uniti è ancora vivo tra mito e leggenda. Quello che ignoravamo, prima dell’avvento letterario di Seth – Grahame Smith, era la lotta che il buon Abraham conduceva contro i non morti, contro una orda si vampiri feroci, un clan oseremmo dire, capace di portar via al Presidente l’adorata madre. Il buon Smith ha curato anche la sceneggiatura del film, diretto dal visionario russo Timur Bekmambetov capace di mettere in scena una ibrida rappresentazione cinematografica che si fregia dell’ausilio stereoscopico e naviga con scioltezza tra i generi classici per inchiodarci – o almeno provarci – alla poltrona. Nel cast del film Benjamin Walker, Dominic Cooper, Mary Elizabeth Winstead, Anthony Mackie (che sarà tra i protagonisti del sequel di “Captain America”), Rufus Sewell e Marton Csokas.

Il film

1818 Pigeon Creek, Indiana: il piccolo Abraham assiste inerme alla morte della madre, provocata dal vampiro Jack Barts con il quale il padre del bambino aveva avuto un diverbio poco prima. La morte – inspiegabile – di mamma Lincoln getta nello sconforto il ragazzo che, grazie al vampiro “buono” Henry, deciderà di dedicare la sua vita alla caccia notturna dei non morti. Dopo un periodo di rodaggio e indottrinamento Abraham scenderà in campo armato di una accetta e ispirato da una profonda sete di vendetta.

La leggenda del cacciatore di vampir

Giudizio sul film

Sì è vero, lo script è decisamente interessante e poi, perché no, una rivisitazione storica a pennellate fantasy non doveva sembrare una così brutta idea. Dopotutto se i cowboy possono lottare contro gli alieni, nessuno vieta al primo Presidente Repubblicano della storia di lottare contro dei famelici e brutali non morti. Anzi, chi meglio di lui, perennemente sul campo per combattere ogni tipo di ingiustizia poteva tenere a bada quei mostri dai canini pronunciati, fuoriusciti dalle tenebre? Nessuno, probabilmente. Dopo un brevissimo prologo – che funge anche da epilogo – ci immergiamo nella storia: a Lincoln viene svelata l’esistenza dei vampiri e Henry, un vampiro di quelli buoni d’anima e che non vi morderebbero per nulla al mondo, lo allena nei boschi e lo invita a passare una vita in totale isolamento, senza amici, donne o altro con l’unico obiettivo di prendere ad accettate il prossimo succhiasangue.

Un poster del film La leggenda del cacciatore di vampiri

Ovviamente la carne è debole, tanto per restare in tema, e Abramo non riesce a resistere al vascino della bella Mary Todd che diventerà presto sua moglie e lo renderà padre. Fermiamoci qui: nella prima parte il kazako Bekmambetov confeziona un personaggio guerriero, un combattente per la libertà riluttante a qualsiasi forma di ingiustizia, a volte anche crudele e desideroso di mettere sotto terra – questa volta senza possibile resurrezione – l’assassino della madre. Poi, improvvisamente, la pellicola vira verso una oscura direzione storica-biografica mostrandoci i primi passi del Presidente in politica. E qui la storia si fa decisamente più contorta poiché è una rincorsa affannosa verso quella fatidica notte al teatro. Nel mezzo: una guerra di secessione, nella quale sono coinvolti anche i vampiri (e chi non lo aveva sospettato?), una abolizione al volo della schiavitù, un diario segreto e qualche scazzottata qua e là. Seppure ben realizzate, e qui il 3D si fa sentire (soprattutto nella battaglia), non permettono comunque alla pellicola di raggiungere uno status accettabile.  Più onestamente, questo biopic fantasy parte, lo ripetiamo, da una idea brillante ma sviluppata grossolanamente fino a risultare piuttosto noiosa, soprattutto nella prima parte. Da salvare il finale. A un patto però: non pensate al sequel.

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