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La parte degli angeli: la recensione

Tribunale distrettuale di Glasgow: quattro “sbandati” vengono condannati a scontare 300 ore di lavori socialmente utili.

Albert (Gary Maitland), dopo essersi scolato litri di vermut, ha deciso di fare una prova di coraggio con un treno a tutta velocità. Mo (Jasmin Riggins) ha rubato un pappagallo in un negozio di animali. Rhino (William Ruane) è stato sorpreso a cavalcare un cavallo di bronzo a cui aveva messo un cono stradale in testa.

Infine c’è Robbie (Paul Brannigan) che ha aggredito un paio di tizi che non volevano lasciarlo in pace, per via di una vecchia faida famigliare. Robbie non è un teppista qualunque: ha energia e talento, se solo la sua vita e il suo passato gli permettessero di applicarsi. Robbie sta per diventare padre e vuole cambiare, ma deve innanzitutto evitare un lungo soggiorno in prigione.

Sorvegliati dal generoso e altruista Harry (John Henshaw), i quattro diventano amici e cercano di dare una svolta alla propria vita. Una svolta che arriva inaspettata e che li porterà a darsi all’alcool…

Presentato in concorso all’ultimo Festival di Cannes, dove ha vinto il Gran Premio della Giuria, “La parte degli angeli” è, senz’altro, uno dei migliori film di Ken Loach.

I quatto protagonisti de La parte degli angeli

Con “La parte degli angeli”, il regista britannico firma una sorta di rivisitazione de “I soliti ignoti”, laddove il dramma sociale si unisce alla commedia dai risvolti gangsteristico-farseschi. Dalla Roma periferica pre boom alla desolata Glasgow di inizio terzo millennio poco sembra essere cambiato.

La storia di questi outsider cialtroneschi ma di buon cuore, vessati ma non rassegnati alla sconfitta, regala sorrisi dolceamari. Il tutto è arricchito con una giusta dose di ironia (che si fa, in certi punti, anche autoironia di “classe”) e il film diverte e commuove con sincera partecipazione senza mai essere compiaciuto o ricattatorio.

“La parte degli angeli”, infatti, è un film ottimista, refrattario a qualsiasi furbizia facilona o a pulsioni vagamente consolatorie: gli aspetti più drammatici della vita di Robbie e dei suoi compari non vengono mai nascosti, ma diventano parte integrante del racconto che va verso uno sviluppo simil grottesco, benché questa componente venga centellinata sapientemente.

Leggerezza e dramma procedono di pari passo e coesistono collaborativamente, facendosi veicoli espressivi di vite vissute sempre al limite, segnate dalla sofferenza e dalla lotta. Ma i protagonisti de “La parte degli angeli”, nonostante tutto, non sono disposti ad arrendersi, vitali e propositivi anche quando non particolarmente svegli e solerti.

Ken Loach sul set de La parte degli angeli

La cosiddetta “parte degli angeli” è quel 2% di alcool contenuto in una botte di whiskey che ogni anno evapora, perdendosi per sempre. E anche sulla terra si possono riscontrare figure angeliche: perdenti in cerca di riscatto malgrado tutti i propri limiti, o personaggi disinteressati disposti a concedere una seconda occasione a queste persone.

Tutti hanno diritto alla loro parte degli angeli, sembra dirci Ken Loach in questo film che a tratti assume connotazioni favolistiche, lineare e quasi prevedibile nel suo sviluppo, ma non per questo meno coinvolgente, fresco o inventivo.

“La parte degli angeli” è un film frizzante, amaro e delizioso come può esserlo solo un ottimo bicchiere di whisky (magari un Malt Mill da un milione e centocinquantamila sterline).

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