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“La regina dei castelli di carta”: il congedo di Lisbeth Salander. La Recensione

Dopo “Uomini che odiano le donne e La ragazza che giocava con il fuoco, anche il terzo capitolo della saga letteraria Millenium scritta dal giornalista svedese Stieg Larsson diventa un film. Diretto ancora una volta dal regista Daniel Alfredson, La regina dei castelli di carta chiude la trilogia thriller anche sul grande schermo e arriverà nelle sale italiane il prossimo 28 maggio.

La regina dei castelli di carta
In seguito a un durissimo scontro con il padre Alexander Zalachenko, Lisbeth Salander (Noomi Rapace) si trova costretta all’immobilità in un letto d’ospedale dopo essere stata operata alla testa per via di una pallottola che le si era conficcata nel cranio. Nello stesso ospedale è ricoverato anche Zalachenko, che vuole vedere la figlia morta per paura che possa rivelare segreti indicibili sul suo conto. La Säpo, il gruppo illegale interno ai servizi segreti per il quale Zalachenko ha prestato da anni il suo oscuro servizio, decide di liberarsi in una sola mossa di entrambi gli scomodi sopravvissuti: l’uno perché minaccia di dire tutto ciò che sa sui procedimenti poco ortodossi della Sezione, mentre la ragazza rappresenta un pericolo qual’ora emergessero le violenze commesse su di lei dal padre, che la Sezione ha sempre insabbiato a discapito della ragazza per poter continuare a sfruttare le conoscenze politiche di Zalachenko, disertore dell’Unione Sovietica. Rimessasi in salute, Lisbeth è dimessa dall’ospedale e condotta in carcere, dove attende un processo per tentato omicidio nei confronti del padre, che nel frattempo è stato ucciso per mano dei suoi loschi colleghi. Gli stessi puntano ora ad eliminare una volta per tutte Lisbeth Salander facendola credere incapace mentale e rinchiudendola all’età di ventisette anni in un manicomio. Intanto il direttore della rivista Millenium Mikael Blomkvist (Michael Nyqvist), che aveva lavorato con Lisbeth e conosce la sua innocenza, è intenzionato a scavare nel passato tormentato della ragazza per scagionarla e ridarle la libertà attraverso un dossier di denuncia che verrà pubblicato su un numero speciale di Millenium e che è potenzialmente in grado di far crollare le trame occulte di servizi deviati come dei fragili castelli di carta.
La regina dei castelli di carta
Ritorna l’androgina hacker Lisbeth Salander interpretata dalla bella ed enigmatica Noomi Rapace e questa volta l’intero film ruota tutto intorno a lei. Le atmosfere cupe e algide girate tra Svezia, Danimarca e Germania, che non lasciano spazio alla luce e ai colori, assecondano una Lisbeth apparentemente più inerme rispetto ai precedenti capitoli, che lascia da parte l’impulso violento alla difesa per chiudersi in una volontaria atarassia. Per la prima volta emerge in modo esplicito il suo tremendo passato, attraverso le varie fasi del processo, che allo spettatore è sempre stato per lo più nascosto, solamente accennato. Ritorna lo spettro delle violenze sessuali subite da piccola per mano del sadico tutore Bjurman e viene svelato che Lisbeth è stata per più di un anno legata al letto di un manicomio con larghe cinghie di cuoio sotto la supervisione del dottor Teleborian, che ora si fa in quattro per stilare su di lei una falsa perizia psichiatrica che la condannerebbe per sempre alla reclusione. E, in effetti, il film è costruito su una sottile evoluzione fisica di Lisbeth: incontrata seminferma in ospedale e barricata nell’afasia, la scopriamo in seguito rispondere con sicuro tono durante le sedute in tribunale e allenarsi duramente in carcere per ritrovare la perduta forza fisica che le consentirà nel sottofinale di sfuggire al suo temibile assassino con l’agilità di un’acrobata. La trasformazione di Lisbeth viene segnata anche dal suo travestimento da punk-hacker, nel quale nasconde ogni elemento di femminilità e lascia emergere un provocatorio lato aggressivo come ennesima protesta contro gli uomini che odiano le donne, quegli stessi uomini che le hanno rovinato l’infanzia e che, ancora una volta, tentano di privarla della sua libertà.
La regina dei castelli di carta
L’aula di tribunale, che occupa gran parte della durata del film, è il non-luogo classico di chiusura di ogni storia. E così si chiude anche quella di Lisbeth Salander, il cui ritorno ai ricordi del passato è doppiamente terapeutico: mette la parola fine su un periodo infelice della sua vita e le regala la tanto agognata libertà per ricominciare da capo (fortemente simbolico il bagno finale, dove Lisbeth si spoglia dei suoi fantasmi e delle sue infrastrutture per inaugurare un nuovo inizio, come a una fonte battesimale).

Colpisce questo ultimo capitolo della trilogia svedese, perché pur emergendo tutti i temi cari a Stieg Larsson (giornalismo di inchiesta, macchinazioni del potere e corruzioni del sistema politico), il sottile filo rosso della vicende è senz’altro la violenza contro le donne per mano di uomini che la praticano, la tollerano o la nascondono. Suggestivo poi, il fatto che la redenzione di Lisabeth avvenga di nuovo per mano di uomini: l’amico e amante del passato Mikael, il collega hacker e il medico dell’ospedale (che, segretamente, se ne innamora).

La regina dei castelli di carta

La portata del tema è capace di riscattare un film forse un po’ troppo monotono e statico, appesantito da un finale che si protrae per troppo tempo lasciando intravedere per un paio di volte due false chiusure che non conducono alla sperata conclusione. Eppure la visione di “La regina dei castelli di cartaè nel complesso godibile per le atmosfere pregnanti e le musiche cupamente suggestive, ma soprattutto per una Noomi Rapace/Lisbeth Salander che diventa vero fulcro del film e che all’enigmatica sensualità dell’asociale combattente dal buio passato sa unire, in questo terzo capitolo finale, la malcelata fragilità di un’anima indurita dagli eventi.

IL NOSTRO PARERE IN BREVE

Buon Film - Si chiude la trilogia, a tratti il film è monotono e statico ma non mancano le suggestioni.

PANORAMICA RECENSIONE

Voto CineZapping

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