Avete sentito parlare di film di spionaggio? Quando pensate a “La talpa“, però, dimenticate le scene eclatanti alla James Bond o Ethan Hunt che corre giù per i grattacieli come se nulla fosse, qui si tratta di una storia completamente diversa. Lo spionaggio non è solo azione, talvolta nel mondo del cinema si creano luoghi comuni, ma cosa succede nella dimensione della burocrazia e nelle menti degli artefici?
E’ quello che spiega Tomas Alfredson, tornato in sala dopo il successo di “Lasciami entrare“. Dall’horror allo spionaggio, il suo “Tinker, Tailor, Soldier, Spy“, titolo preso da una filastrocca britannica che si comprenderà a film avviato, piazza in prima linea un superbo Gary Oldman, che raggiunge forse l’apice della sua bravura, nei panni di un tormentato e silenzioso George Smiley. Insieme a lui c’è un cast davvero stellare a fare da contorno, basta solo leggere un paio di nomi per convincersi che bisogna vedere il film: Colin Firth, Mark Strong, Tom Hardy, John Hurt.
Siamo nell’Europa della Guerra Fredda: da una parte gli Stati Uniti, dall’altra l’Unione Sovietica, nel mezzo la Gran Bretagna. Gli agenti britannici del Circus sospettano dell’esistenza di una Talpa tra loro che comunica con i sovietici. Fresco fresco di pensione, l’agente Smiley viene richiamato ad indagare sulla questione, ritrovandosi così a fare i conti con un passato amaro.
Diciamolo fin dal principio: la sceneggiatura de “La talpa” non è impeccabile, anche perché svela praticamente all’inizio del film chi sia “l’intruso”, perfino l’occhio meno attento non potrà fare a meno di notarlo. Tuttavia, il film funziona perfettamente, anche con la mancanza delle scene d’azione alle quali ci hanno abituato, ormai da moltissimi anni, i consueti film di spionaggio. Qui è tutto diverso, l’agente Smiley medita in silenzio, ride poco, si limita a qualche battuta, è freddo e pensieroso, ha molti drammi interiori ma non li lascia trapelare, a prestargli il volto in maniera impeccabile, con una mimica immortalata nel più piccolo dettaglio, nella smorfia più impercettibile, è Gary Oldman, che ricorda per certi aspetti il Toni Servillo de “Il divo” che tanto piacque oltreoceano.
Attorno a lui, altri personaggi loschi e meno loschi, a partire da Mark Strong, protagonista del dramma da cui scaturisce il grande sospetto: quale, tra le persone con le quali hai vissuto insieme per anni, è la vera talpa? Difficile dirlo, perché niente è come sembra, e chi può saperlo meglio di una spia?
Tomas Alfredson ci conduce in un viaggio alla scoperta della risposta al fianco di un pacato Oldman, che si muove a passo lento tra le grigie strade di Londra, aiutato da una fotografia perfetta, opera di Hoyte Van Hoytema, ed i personaggi circondati da ambientazioni ricostruite con attenzione maniacale ai dettagli e dalle splendide musiche di Alberto Iglesias. Con tutta probabilità, il film non riuscirà a superare il romanzo di John Le Carrè da cui è tratto, ma il regista ha comunque compiuto un ottimo lavoro. Forse a risultare troppo “accelerato” è il finale che, dopo un cammino lento nel mondo dell’intelligence qua e là per l’Europa, corre troppo in fretta e si chiude velocemente, peraltro in maniera originale, dopo tanti drammi consumatisi, sulle note di una versione di “La mer” di Charles Trenet (un live di Julio Iglesias del 1976) assolutamente imperdibile.
“La talpa” fa apprezzare senza nostalgia anche il cinema che non offre azione spettacolare e grandi effetti speciali; il potere della mente del nostro agente Smiley e i suoi silenzi, sapranno comunque trasportarci piacevolmente in un mondo fatto di intrighi che, prima o poi, finiscono per sporcare anche l’animo più pulito.
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