A far tremare la settantunesima edizione del festival di Venezia — e non solo quella — ci ha pensato ancora una volta Sabina Guzzanti.
Dopo i molto discussi Viva Zapatero! (2005), Le ragioni dell’aragosta (2007) e Draquila – l’Italia che trema (2010), La Trattativa uscirà nelle sale italiane il prossimo 2 Ottobre.
Atteso con ansia dalla stampa nazionale e internazionale, la pellicola si è mostrata all’altezza del polverone che sempre solleva nel paese della “pizza mafia e mandolino” chi strappa il velo di Maya e parla di Ciò-Che-Non-Deve-Essere-Nominato: del sempreverde rapporto Stato-mafia.
Non una generica trattazione sull’argomento di cui fin troppi libri — conditi da una certa retorica barocca e una buona dose di menzogna — son colmi fino alla nausea, ma una circoscritta analisi del periodo a cavallo fra gli anni ’80 e ’90, anni cruciali per la nascita della nostra seconda Repubblica, quando l’Italia divenne triste palcoscenico di stragi, farse e ridicolaggini.
Come raccontare il passato per spiegare il presente.
L’opera, indubbiamente la più matura e complessa della Guzzanti, spicca per un virtuosismo drammaturgico fuori dal comune, tanto che per classificarne il genere la critica ha creato un vocabolo ad hoc: docufiction.
La regista è riuscita a mantenere fede all’intento di fornire una visione a trecentosessanta gradi degli eventi grazie all’utilizzo parallelo di differenti soluzioni narrative: interviste ai protagonisti del tempo, immagini di repertorio, ed una lucida ricostruzione teatrale che profuma, per certi versi, di etica brechtiana.
Efficace la scelta di una messa in scena frizzante in cui gli attori — Guzzanti in primis — interpretano più ruoli contemporaneamente, ed aiutano il pubblico a comprendere quanto è stato, spiegando la psicologia dei personaggi e gli snodi fondamentali della vicenda.
Sebbene l’argomento non sia certo di facile digestione una satira pungente stempera l’atmosfera, autorizzando qualche (amara) risata, spontanea risposta alla naturale chiave umoristica e satirica con cui La Trattativa narra di assurdità e vergognose menzogne.
Tra le molte critiche mosse al film, stranamente anche una giusta osservazione: non c’è nulla di nuovo sotto il sole.
Peccato che l’intento non sia mai stato quello di impressionare lo spettatore con colpi di scena hollywoodiani — a scuoterlo basterebbe anche la più noiosa delle rappresentazioni— e nemmeno quello di sedurlo con qualche nuovo vangelo, bensì quello — cui forse non siamo più abituati— di essere chiaro e limpido nel suo svolgimento: vuole essere compreso prima di sparare sentenze o puntare il dito contro qualcuno.
Si rivolge agli spettatori comuni, anche ai meno avvezzi all’argomento, agli ignavi, a quelli che non si interessano di politica o non leggono saggi, a chi non era ancora nato come a chi in quegli anni c’era.
Il prodotto è stato per la Guzzanti una fatica d’Ercole, ma il risultato è di prim’ordine: ogni fatto cui si fa riferimento è frutto di un’accurata ricerca storica e bibliografica, tutto ciò che si racconta è stato accuratamente controllato e giustificato, riportando eventi messi a verbale e basandosi sugli atti della magistratura stessa. Squisita l’idea di gettare luce su passaggi ancora poco chiari grazie alle parole di alcuni collaboratori di giustizia, sebbene in Italia purtroppo siano ancora in molti a ritenere la loro testimonianza inaffidabile.
La pellicola, come tutte quelle che si rivolgono al tempo andato, è doppiamente storica, non solo ci istruisce ma ci consente anche di capire con che occhi oggi guardiamo indietro ad un passato mai così presente, ed è soprattuto sintomatica della volontà che la Guzzanti vuole instillare in tutti noi di non lasciare all’oblio ma comprendere, almeno, lo Stato in cui si vive.
Pare terminare più volte, ma poi riecco, subito dopo, una nuova scena, quasi a ricordarci che la storia — quella con la s minuscola, purtroppo — non é ancora finita, ma questa volta non possiamo più stare seduti a guardare lo schermo nero.