Acclamato al Festival di Cannes, dove ha trionfato, e considerato uno dei film più belli del 2013 appena andato, “La vita di Adele” è un film di Abdellatif Kechiche, che ha suscitato scalpore anche per i suoi contenuti a volte troppo spinti.
L’intento del regista è stato quello di calarsi pienamente nella realtà, raccontando ogni momento della vita della protagonista, Adele, un’adolescente sull’orlo dei diciotto anni alla ricerca della sua identità.
A fare da sfondo alle sue vicende, la cittadina di Lille, la scuola e i compagni a volte bulli, a volte invadenti, troppo superficiali per capirsi a vicenda, più impegnati a parlare di esperienze sessuali e a fumare sigarette in cortile anziché capire i problemi degli altri coetanei. Adele non riesce a rispecchiarsi in questo ambiente, ha idee chiare per il suo futuro, ama la letteratura (ma non quella spiegata dai professori, la vuole capire da sola, vuole usare la sua fantasia per dare vita a quelle storie senza troppi costrutti) e vuole fare l’insegnante, è attratta dalle ragazze ma non è ancora convinta della sua sessualità, che scopre poco a poco, esperienza dopo esperienza. La sua è una famiglia piccolo-borghese che la sostiene ma non eccessivamente presente nel film, se non per raccontare giornate che si ripetono, apparentemente sempre uguali mentre in realtà è in corso una vera e propria evoluzione dei personaggi, con i genitori seduti a tavola e il papà fiero della sua ottima pasta a ragù.
Adele inizia a capire di non voler avere nulla a che fare con i maschi quando incontra Emma: la prima volta per strada, ne rimane folgorata. Poi la giovane ragazza si avventura in un bar gay e lì ne fa una conoscenza più approfondita: Emma è più grande, ha molte più esperienze, è disinvolta, è un’artista apprezzata che sogna l’affermazione definitiva, frequenta l’apparentemente complesso e sofisticato ambiente gay, intellettuale e artistico, che sembra essere lontano anni luce dalla semplicità genuina della giovane Adele, che ne rimane affascinata ma non attratta, rimane sempre al varco, senza mai compiere un passo di troppo.
Emma diventa presto il suo grande amore, tra le due c’è una passione incontenibile, che viene raccontata attraverso alcune scene di sesso davvero molto intense (e sicuramente difficilissime da girare). Il legame si fa sempre più forte, tanto che le due vanno a convivere e la loro vita insieme sembra andare bene, fin quando le certezze di Adele non iniziano a vacillare. Quando Emma sembra essere più lontana e troppo presa dal suo grande futuro da artista, la fortezza che Adele ha costruito crolla e inizia a cedere. Così la relazione si interrompe e le strade si separano, Adele inizia la sua vita da adulta ma non riesce ad andare avanti senza conservare i suoi pensieri per l’ex compagna, che a sua volta è andata avanti ed ha costruito una famiglia. Nei loro sguardi, durante il loro incontro molto tempo dopo la fine della storia, si nota però che non è ancora tutto finito, c’è ancora una passione fortissima che le lega, ma i loro destini non sono più incrociati.
Le attrici de “La vita di Adele“, Adèle Exarchopoulos e Léa Seydoux, sono straordinarie e riescono a regalare intensità ad ogni singolo istante del film. Merito di un regista fin troppo pignolo criticato dalle stesse protagoniste, che però attraverso questo duro lavoro e la cura del dettaglio, è riuscito a coinvolgere lo spettatore in una storia di autentica normalità. Perché il film non è tanto una storia di omosessualità quanto il percorso di una giovane donna, raccontato fin nel suo momento più intimo. E se da una parte le scene di sesso risultano troppo spinte, praticamente pornografiche, e troppo lunghe per considerarsi del tutto utili ai fini della storia, dall’altra se si guardano nel contesto, amalgamando tutti gli elementi, allora se ne comprende facilmente la funzione.
Adele è una ragazza normale, che piange sempre ed esplora la vita giorno dopo giorno, cercando di rimettersi sempre in carreggiata, ripresa quasi con la telecamera appiccicata addosso, mentre si fa la doccia, mentre fa l’amore, quando dorme con la bocca aperta o quando mangia, perché ama tantissimo il cibo ed è anche una cuoca provetta. L’attrice che le dà il volto ne incarna perfettamente l’essenza, affiancata da una spalla che non è da meno, un’ottima Léa Seydoux, matura e decisa nel percorso da seguire, ferita nei sentimenti, talvolta troppo distratta dal suo mondo per comprendere quello della compagna. Abdellatif Kechiche ha regalato al suo film una durata e un’intensità che non si vedevano davvero da tempo nel mondo del cinema, partendo da una storia semplice analizzata in ogni suo aspetto, senza appesantire, ma coinvolgendo in tutto e per tutto lo spettatore. E no, il sesso non c’entra niente. Al massimo, è stata una trovata pubblicitaria, un’aggiunta in più per catalizzare l’attenzione che, in ogni caso, grazie alla splendida e superba prova delle due protagoniste, non sarebbe mancata.