Ad ogni film, Andy Serkis sposta in avanti lo stato dell’arte della recitazione utilizzando quel particolare strumento chiamato “performance capture”, evoluzione del “motion capture”. Andy Serkis è un effetto speciale lui stesso, il suo modo di recitare, di plasmare personaggi, (che lo ha trasformato prima in Gollum, poi in King Kong) lo ha reso l’attore perfetto per sperimentare nuove tecnologie. Anche nell'”Alba del pianeta delle scimmie“, supportato dai geni della Weta Digital, il suo lavoro nella creazione dello scimpanzé Caesar è egregio. Sotto i nostri occhi assistiamo alla mutazione di una scimmia in un essere senziente, mutazione che avviene sia fisicamente (la schiena che si raddrizza, i movimenti che tendono a farsi umani), sia psicologicamente (espressioni del viso, il movimento degli occhi, la loro espressività). Non a caso hanno definito Andy Serkis il “Charlie Chaplin della nostra generazione”. Tutto intorno a Andy Serkis c’è un film spettacolare, divertente, che dà molti spunti di riflessione e pone domande non banali sulla libertà, l’etica, la morale, l’amicizia. Questo nuovo film non è un remake, nè un reboot, neanche una sorta di prequel al film del 1963 diretto da Pierre Boulle e interpretato da un Charlton Heston in stato di grazia. “L’Alba del pianeta delle scimmie” è semplicemente un nuovo inizio. Si assiste così alla genesi di quello che sarà un mondo dominato dalla scimmie e con gli uomini costretti alla fuga o utilizzati come schiavi. La storia dell'”Alba del pianeta delle scimmie” segue le vicende di Will Rodman (un calibrato James Franco), uno scienziato che lavora in una grande società farmaceutica, la Gen?Sys, dove svolge ricerche sulla genetica per sviluppare un virus benigno in grado di ricostituire il tessuto cerebrale danneggiato. L’uomo vuole individuare una cura perl’Alzheimer, malattia da cui è affetto il padre Charles (un sofferto John Lithgow). Poco prima che la Gen?Sys dia inizio alla sperimentazione umana di un nuovo farmaco promettente e potenzialmente molto redditizio, l’ALZ?112, le scimmie sulle quali Will sta effettuando i test mostrano all’improvviso un comportamento insolitamente aggressivo. Viene così decretato l’esito negativo della ricerca e Will deve interrompere il programma. Nella confusione che segue l’improvvisa interruzione dello studio, Will si trova a dover accudire un neonato di scimpanzé, un maschio, figlio orfano del primate più promettente della sperimentazione. Il giovane scimpanzé, destinato alla grandezza, a cambiare le sorti della sua razza e di quella umana, si chiama Caesar. Spettacolare, con un grande ritmo, diviso nettamente in due parti: una prima parte di presentazione, dalle dinamiche più scontate, laboratorio, scienziato giovane e geniale, prodotto miracoloso, padre malato, dinamiche abusate in più di un film che però servono a raccontare il rapporto che si viene a creare tra i personaggi. La seconda parte è quella più spettacolare, la fuga delle scimmie, l’assalto alla città, la ribellione contro gli umani. Soprattutto in questa seconda parte il regista Rupert Wyatt conferma le ottime impressioni avute vedendo il suo primo film “The Escapist“, non a caso storia di una fuga, e nell’imbastire la presa di coscienza di Caesar e il suo desidero di libertà mette in scena il potenziale (non solo spettacolare) della pellicola. Dopo il brutto film targato Tim Burton (veramente insalvabile), “Planet of the Apes – Il pianeta delle scimmie” (anno 2001), non ci aspettavamo un film così. La scena della statuta della libertà alla fine del film del ’63 è entrata giustamente nell’immaginario collettivo e nella storia del cinema, chissà che tra qualche anno non ci troveremo a pensare la stessa cosa della scena in cui Caesar si ribella al suo carceriere, gli blocca la mano che brandisce un pungolo elettrificato, si erge sopra di lui, alza la fronte e… …non voglio rovinarvi la sorpresa di questo (raro) blockbuster con l’anima. [starreview tpl=16]