Zhang Yimou, celebre esponente della “quinta generazione” dei registi cinesi, di cui è uno dei membri più importanti e influenti, torna al cinema con Lettere di uno sconosciuto (Coming Home), presentato fuori concorso alla sessantasettesima edizione del festival di Cannes.
La traduzione del titolo — come spesso accade gli italiani sono i primi a esemplificare che tradurre è tradire— avvicina pericolosamente la pellicola di Yimou a Lettera da una sconosciuta di Max Ophuls.
Nulla di più sbagliato. Se nel celebre film del 1948 il protagonista riceve una lettera da una persona di cui non ricorda l’identità, ora invece la protagonista (Gong Li) riceve lettere d’amore dall’amato e atteso marito (Chen Daoming) che aspetta da un ventennio, ma, una volta rivistolo, non sarà più in grado di riconoscerlo.
Lu e Feng sono una coppia sposata con una piccola bambina (Zhang Huiwen ad un sorprendente esordio alla recitazione), quando lui, professore influente e attivamente impegnato nella vita politica, viene esiliato e confinato in un campo di lavoro come dissidente politico.
Durante i duri anni della rivoluzione culturale Feng riesce a scappare di prigione nella speranza di potersi riconciliare con la moglie, ignaro del fatto che la figlia, oramai tredicenne, obbedendo ciecamente alle logiche di partito, lo ha prontamente denunciato alle autorità competenti. Dopo una sola straziante visione da lontano, i due, separati dalla polizia di regime si troveranno di nuovo separati per un’altra decade.
Quando la rivoluzione culturale finisce, Lu riesce finalmente a tornare a casa, dove scopre che però le cose sono profondamente mutate. L’amata moglie, che lo aspetta devotamente, è ora affetta da una strana forma di amnesia, forse causata da un trauma psicologico o da malnutrizione, che non le consente di riuscire ad immaginare l’aspetto del marito dopo vent’anni passati in un campo di lavoro. La figlia ha scientemente contribuito a creare questa situazione ritagliando dalle foto di famiglia il volto del padre, ed ora la povera donna si trova, suo malgrado, incapace di riconoscere l’uomo che ha aspettato per tutta una vita, continuando ad attenderne pazientemente il ritorno.
Estraneo in seno ad una famiglia distrutta dall’attesa, dalla malattia e dalla dura vita sotto il regime, quello che sarebbe dovuto essere il momento più bello della sua vita, diventa ora per Lu un viaggio paradossale e doloroso. Egli tuttavia non demorde e, forte dell’amore che nutre per lei, unica convinzione che gli ha consentito di sopravvivere a vent’anni di prigionia, comprende che l’importante è continuare ad amarla. Eccolo dunque presentarsi in casa sua come un estraneo, utilizzando vari pretesti per riuscire a sincerarsi che l’amata sia tutelata e goda delle cure e delle attenzioni che la sua triste condizioni le rendono indispensabili.
La memoria di Feng si è inceppata all’età dell’oro della relazione dei due: la figliola è ancora piccola e continua a studiare all’accademia di danza, mentre l’amato ha l’aspetto e le sembianze del suo giovane sposo. Valutate tutte le possibilità egli decide quindi, sotto le mentite spoglie di un accordatore di pianoforte, di divenire per lei il compagno che l’aiuta a leggere le molte lettere che il marito le scrive, cercando di indirizzarla al meglio. La pellicola dona o questo senso un senso di grande umanità e speranza, volendo forse convogliare il messaggio, grazie alle scelte e alle azioni del protagonista maschile,che la famiglia e l’amore vero vengano prima di qualsiasi altra scelta, fosse anche politica.
Certo il film e la vicenda che viene narrata esula dal solo ambito famigliare e, considerata l’importanza che il cinema di Yimou riveste a livello internazionale, e lo sfondo su cui la vicenda sia taglia, la tragedia che la donna si trova ad affrontare può essere interpretata come la storia della Cina stessa, bisognosa di fare i conti col proprio passato.
Ottima la scelta di Yimou di abbandonare le coreografie spettacolari de La foresta dei pugnali volanti o il microcosmo intimistico di Lanterne Rosse, per presentare una storia apparentemente semplice ma pungente e terribile nella sua disperazione, in cui i veri centri propulsivi dell’azione sono le rare e meravigliose capacità attoriali dei protagonisti. In particolare la performace di Gong Li, unica attrice cinese ad essere stata protagonista di film che hanno vinto il premio principale si tre festival europeo più prestigiosi —Berlino Venezia e Cannes—, con Sorgo Rosso, La storia di Qiu Ju e Addio mia concubina, è tale da potere essere da sola condizione necessaria e sufficiente alla comprensione del tessuto narrativo dell’opera: le parole e i dialoghi sono solo un surplus all’infinita gamma di espressioni e emozioni che scintillano sul suo volto.
Oltre a tali magistrali prove attoriali, a impreziosire la pellicola è anche la fotografia di Zhao Xiaoding (La foresta dei pugnali volanti, La città proibita, I fiori della guerra), in grado di fungere da eco delle emozioni e della tragedia umana dei protagonisti.