Approda al cinema il secondo capitolo della saga “Lo Hobbit“, prequel della più celebre “Il Signore degli anelli“, la cui uscita è stata accompagnata nei mesi scorsi da una giustificata attesa febbrile da parte di tutti i suoi fan.
Sorprenderà sapere, tuttavia, che le aspettative su questo film sono state solo in parte rispettate.
Ma andiamo con ordine e prima di scoprire quali sono i punti forti e deboli di questa pellicola, targata ancora una volta Peter Jackson, ci addentriamo nell’incredibile storia dell’hobbit Bilbo Baggins.
TRAMA
Al termine di “Lo Hobbit: Un viaggio inaspettato” avevamo lasciato Bilbo Baggins, Gandalf e la sua compagnia di nani (capeggiata dal “Re Sotto la Montagna” Thorin Scudodiquercia) che, salvati dall’ira funesta degli orchi e dei loro mannari grazie all’intervento delle aquile, osservavano con speranza le pendici ormai vicine dell’antica città di Erebor, un tempo dimora dei nani e i cui tesori sono custoditi dal potente e pericoloso drago Smaug. In questo secondo capitolo l’avventura continuerà attraverso l’opprimente Bosco Atro, nel quale gli incontri con ragni e Elfi Silvani metteranno a dura prova il cammino di Baggins e i nani. L’arrivo a Pontelagolungo sarà difficoltoso, ma si rivelerà assai fruttuoso: aiutati dagli abitanti di questa città caduta in disgrazia, Bilbo e i nani riacquisteranno le forze necessarie per presentarsi al cospetto del gigantesco drago, con l’intenzione di ucciderlo e di riappropriarsi dei tesori della città.
CRITICA
Non dev’essere stato facile per Peter Jackson & Co. confezionare un prodotto così lungo e complicato, non avendo abbastanza materiale cinematografico su cui lavorare. Il libro di J.R.R. Tolkien “Lo Hobbit” è magnifico dal punto di vista letterario, ma si presta poco a una trasposizione su pellicola. Gli spunti offerti dallo scrittore sono molti, ma non abbastanza da costruirci un colossal composto da tre film di quasi 3 ore l’uno.
Se da un lato il regista riesce ancora a stupire per alcuni effetti scenici (il drago Smaug su tutti), dall’altro si perde nei meandri di una trama complicata, ostentatamente forzata nell’incastro con il successivo “Il Signore degli anelli” e talvolta riempita di dettagli tra loro sconnessi.
E’ tutta qui la pecca fatale di “Lo Hobbit: la desolazione di Smaug“: il desiderio di allungare con ingredienti inutili una ricetta già di per sè complicata ma gustosa. Il risultato è un minestrone annacquato che perde il suo gusto, altrimenti molto godibile.
Risalta subito all’occhio, quindi, come l’idea di fare tre film sia solo e palesemente per fini commerciali. Se da un libro di 1300 pagine (“Il Signore degli anelli”) sono stati ricavati 3 film, come è possibile farne altrettanti con “Lo Hobbit o la Riconquista del Tesoro“, che di pagine ne ha poco più di 400?
Se della presenza di Legolas, poi, possiamo anche non lamentarci affatto (con un Orlando Bloom, ahinoi, invecchiato), per l’elfo femmina Tauriel e la sua stucchevole quanto improbabile relazione con uno dei nani abbiamo più di una obiezione da sollevare: un personaggio (interpretato dalla bella Evangeline Lilly) voluto dallo stesso Peter Jackson, ma che fatica a trovare una collocazione appropriata all’interno del film. In sintesi: di Tauriel e della sua impronta romantica potevamo anche fare a meno.
L’impressione è che il regista si sia perso nello sforzarsi di far conciliare i dettagli di due libri in una trilogia, dimenticandosi così di dare risalto ad alcuni personaggi che meritavano maggiore attenzione (ad esempio il mutatore di pelle Beorn).
Un taglio poteva essere dato alla lunga – e infine ridicola – battaglia sui barili, anche fin troppo esasperata.
Ad ogni modo, non ci sentiamo affatto di bocciare Bilbo e i suoi amici. Alcune scene sono ben riuscite e sono letteralmente in grado di tenere incollato – e di far sobbalzare – il pubblico sulle poltrone: la tesa conversazione tra Baggins e il drago Smaug (voce italiana di Luca Ward), e l’attacco dei ragni a Bosco Atro sono i due migliori momenti del film. In attesa che il terzo e ultimo capitolo – quello risolutivo, in uscita a Dicembre 2014 – sia decisamente migliore, può comunque valere la pena passare 3 ore in compagnia di nani, orchi, elfi e stregoni.
Solitamente si usa dire che “si poteva fare un po’ di più“. Qui, al contrario, sommando il tutto, è stato fatto – e soprattutto messo – decisamente troppo.