A 27 anni il ferrarese Vasco Brondi ed è un artista che divide come pochi e ispira sentimenti contrastanti. Nonostante ciò in poco più di due anni ha mostrato con la sua musica che quando hai qualcosa da dire basta dirla, senza scorciatoie, fronzoli o abbellimenti vari. E lui dice, a modo suo, che la verità non è bella e che semplicemente non ha bisogno di esserlo. Il suo progetto musicale Luci della Centrale Elettrica si presenta così. Il nome stesso fa presagire la sua semplice operazione da cui prende origine: catturare in una polaroid la realtà che percepisce e metterla sotto le luci attraverso le canzoni.
Il tour che ha presentato in quest’anno e gli ha portato grandi soddisfazioni, ha un nome altrettanto fedele al sentire della sua generazione di trentenni: ‘Per ora noi la chiameremo felicità’. Pacatamente cerca di mantenere in equilibrio una condizione dell’essere che in realtà ha poco a che vedere con contentezza ed allegria, ma suggerisce in maniera alquanto suggestiva un ineffabile senso di incompletezza e di vuoto che incombe. Non pago di questo effetto per la data di conclusione del tour al Teatro Romano di Verona, aggiunge il sottotitolo ‘Fuochi d’artificio’ per aumentare l’effetto di spaesamento.
L’ultima data si propone come un vero e proprio happening che non ha nulla di autoreferenziale. Sul palco col Vasco ferrarese amici, collaboratori e musicisti di riferimento con una serie di brani da ovazione: Manuel Agnelli degli Afterhours, Rachele Bastreghi dei Baustelle, Giorgio Canali e Davide Toffolo dei Tre allegri ragazzi morti.
Le proposte musicali in scaletta raccontano la sua visione esistenziale ed estetica fatta di un linguaggio crudo, abrasivo, con immagini postmoderne di periferie alla deriva nelle quali disegna in musica l’anima della sua generazione da call center. I biglietti sono stati venduti ad un prezzo popolare, ma allo show che ha messo assieme musica, pittura e rock alternativo sono accorse poco più di 700 persone. Poche per un evento che, anche a chi non ama lo stile personale dell’ideatore del progetto, potrebbe aver molto da dire e da comunicare. Soprattutto a chi non lo conosce. Forse anche in questo si ritrova la decisione di Lorenzo Cherubini, in arte Jovanotti, che lo ha voluto come supporter per alcune date del suo tour “Ora”.
Le luci dei fuochi sparati nell’anfiteatro scaligero sono scintille colorate esplose nella notte di una generazione, ma ancor più di un Paese, che possono ritrovarsi in quel ‘noi’ ricorrente nei testi privi di narrativa ma carichi di un potente impatto onirico, che irradiano bagliori sulle miserie e sulla disperazione dei nostri giorni, dalle cui macerie forse si può ancora sperare in quella che viene paventata come felicità, in attesa di una sua più piena epifania.
Al Romano canta, dandosi con gioia ed entusiasmo; Vasco Brondi canta per noi, dei call center, dei cieli grigi, delle cravatte blu e delle morti bianche, dei romeni e delle ronde, della crisi e dei suv, dei sindacati e del deserto di Mirafiore, delle petroliere, delle guerre nel mondo e della guerra di tutti i giorni, nelle case di tutti, per sopravvivere… E lo fa con squallida, sincera e viva poesia. Nel maniera ordinaria in cui la vita passa davanti ad occhi disattenti tutti i giorni. Lui la cattura e senza strutture liriche dei testi, la mette in musica in un flusso di apocalittiche immagini metropolitane che sanno delle atmosfere straziate di cemento e fumi delle fabbriche. A sottolineare tutto questo il suo caratteristico cantato monotono e monotematico, dimesso e urlato, accompagnato da una chitarra che abbozza arpeggi e sputa accordi con veemenza, dal violino tagliente e dalle percussioni incessanti come pioggia.