Si è conclusa poche ore fa la conferenza stampa di presentazione di “#PRONTOACORRERE”, il nuovo album di Marco Mengoni, che sarà distribuito nei negozi e reso disponibile al download presso gli stores digitali a partire da domani, martedì 19 Marzo 2013. Una cornice insolita per questo genere di eventi: l’incontro con la stampa si è tenuto in un’aula dell’Accademia delle Belle Arti di Brera a Milano, in quello che fu lo studio del pittore Hayez. Un connubio tra arti, musica e pittura, che ha proseguito per tutto il corso della conferenza. Tutti seduti su sgabelli in legno, Marco compreso, e intorno a noi cinque giovani artisti al lavoro. Sottofondo, perfetto!, la tracklist di “#PRONTOACORRERE”.
Appena entrato, Marco Mengoni ha spiegato che cosa stava accadendo di fronte ai nostri occhi durante l’ascolto dell’album. Studenti dell’Accademia hanno realizzato quattro opere d’arte, rielaborando altrettante foto che ritraevano lo stesso Marco. Verranno messe all’asta e il ricavato sarà utilizzato per creare delle borse di studio da destinare ad altri studenti dell’Accademia stessa. Un’idea partita proprio da Mengoni, che da sempre nutre una passione viscerale per l’arte, complici gli studi all’Istituto d’Arte ai tempi della scuola.
Dopo aver ascoltato l’intero album, ricco di collaborazioni importanti da Ivano Fossati a Cesare Cremonini fino alla star internazionele Mark Owen, ex Take That, Marco Mengoni si è seduto sul suo sgabello nell’atelier che gli si era creato attorno ed ha risposto alle nostre domande.
Perché questo titolo “PRONTOACORRERE”, ispirato a Twitter? Qual è il legame con la dimensione dei social?
Nasco nell’88, il boom della tecnologia, ho un pubblico che è molto attento al web: mi unisco alla società che si evolve. Questo titolo descrive a pieno le emozioni di questo momento. Sono già quattro anni che corriamo, ho iniziato a correre appena nato, come tutti. Non c’era titolo più giusto, era un disco difficile da titolare. Ho cambiato tutto, il team, la crew, la staffetta continua e ci passiamo il testimone.
Questo vuol dire che prima non eri pronto a correre?
No, lo sono sempre stato. Volevo mettere “Pronto a ricorrere”, ma non era il caso… Più che altro è una ripartenza, un correre continuo.
Hai detto di aver cambiato completamente il tuo team. Come mai questa scelta radicale?
Se io adesso sono qui, lo devo al pubblico, che mi ha dato riscontri positivi, ma sono qui anche perché “sono stato”. Non c’è niente che non sia andato, stavo molto bene, era un passaggio che andava fatto. Avevo voglia di cambiare, di confrontarmi con altre persone. E’ stato difficile, perché quando lavori è inevitabile instaurare dei rapporti importanti con il tuo team, è sempre difficile staccarsene. E’ stato un anno duro, ma che ha portato a ciò che stiamo presentando oggi.
A distanza di un mese dalla vittoria del Festival, che cosa ti rimane di Sanremo?
E’ stata un’esperienza fantastica, quest’anno come non mai. Non tanto per la vittoria della manifestazione, quanto per la vittoria del progetto che abbiamo presentato, la vittoria è vedere il riscontro positivo del pubblico, anche quello che non ti segue da più tempo, lo “zoccolo duro”. Mi ha lasciato anche la responsabilità di tenere la velocità di questo progetto che abbiamo lanciato ed è partito subito molto forte.
In “#PRONTOACORRERE” c’è una collaborazione con Ivano Fossati, con cui hai scritto “Spari nel deserto”. Come è nata questa canzone?
Ivano chiese la mia presenza al suo ultimo concerto prima del ritiro al Piccolo di Milano ed io corsi subito da Roma. Per me è stato bellissimo conoscerlo, perché per me è sempre stato ed è un mio mito, parlo da fan adesso. Dopo pochi mesi mi ha chiamato e mi ha proposto un pezzo. Mi sono impaurito, perché c’è il rischio di sentire un brano e non vederlo in linea con l’album che stai costruendo. Invece il suo mi è piaciuto tantissimo. Ci ho messo le mani, sia sul testo che nell’armonia, per renderlo più mio, ed ho rifatto completamente l’arrangiamento. Avevo paura del suo feedback, invece è stato molto contento, mi ha raggiunto in studio, abbiamo fatto insieme il missaggio di questo brano.
Cosa puoi dirci, invece, delle collaborazioni con gli artisti stranieri?
Mark Owen, forse per mio feeling personale, è sempre stato l’autore più forte nei Take That. E’ stato difficile fare il mio adattamento in italiano, perché l’inglese è molto più musicale come lingua. Ci ho sbattuto molte volte le corna, poi grazie ad Ermal Meta, ex fame di Camilla che è co-firma di “Pronto a correre”, siamo riusciti a trovare la chiave giusta. L’inciso è molto frammentato, era difficile mettere un testo lì, ma alla fine è uscita una frase semplice, ma che rende bene l’idea che avevo di questo pezzo che è nato con dei disegni.
Spiegaci meglio questo passaggio delle canzoni che nascono come disegni…
Mi riesce molto più facile immortalare un’immagine, un disegno, ed estrapolare poi da esso il senso ed il testo delle canzoni, probabilmente è dovuto ai miei studi all’Istituto d’Arte… Ci metto tantissimo a scrivere in questo modo, partendo da uno storyboard, ma è bello ritrovare la casa piena di disegni.
Ricollegandoci alla questione delle lingue. Perché hai scelto di inserire un brano in lingua inglese, “I Got The Fear”?
In “Solo 2.0” erano presenti ben due brani in inglese. Ho provato insieme anche ad altri autori a mettere un testo in italiano, ma non siamo riusciti a trovare la giusta chiave, non aveva la stessa forza. Ci tenevo però, che ci fosse questo pezzo, perché è molto in linea con me, con il mio mondo un po’ rock’n’roll e un po’ blues.
E’ stato annunciato ufficialmente che parteciperai all’Eurovision Song Contest a Malmoe con “L’essenziale”. La proporrai in italiano o pensi di tradurla anche solo in parte in inglese?
No, sarà in italiano. La scelta di portare “L’essenziale” è dovuta al fatto che andiamo là per rappresentare l’Italia e questo pezzo è stato scritto a sei mani da tre autori italiani, me compreso. Già è difficile da soli rappresentare un intero Paese. Io nn giudico chi in passato ha partecipato all’Eurovision Song Contest riadattando i propri brani in inglese, sono scelte che ogni artista fa. Io sono molto patriottico ed ho scelto di rappresentare l’Italia nella sua lingua.
E’ prevista una edizione di “#PRONTOACORRERE” interamente in inglese o in spagnolo?
Non lo so ancora, ma lo spero. Magari saranno edizioni ridotte. No comment, come la mia società di edizioni (ride).
A proposito di collaborazioni, tu hai avuto modo di lavorare con Gianna Nannini per l’altro brano portato a Sanremo “Bellissimo”. All’epoca lei aveva dichiarato di aver voluto dar modo ai giovani usciti dai talent di esprimersi al massimo, molto più di quanto il talent stesso non avesse fatto. Ti trovi d’accordo? Per te è stato realmente così?
Per descrivere un’emozione o una situazione, la cosa migliore è scrivere di penna propria i brani, è difficile che un’altra persona sappia rappresentarti al meglio, perché scrive per come ti immagina lei. Gianna con me è stata bravissima in questo. Per quanto riguarda il talent, io ho questo peccato originale di provenire da lì, avevo già scritto un brano in merito nel precedente album (“Come ti senti”, ndr) . A me dispiace molto di più, però, quando scrivono di me come di un interprete, perché io in realtà scrivo i miei pezzi, ci lavoro. Non mi posso lamentare del talent perché è stato l’inizio.
Cesare Cremonini ha scritto per te “La Valle dei Re”. Com’è nata questa collaborazione?
Io odio Cesare! (ride) Perché lui è capace con una frase semplice e diretta di descrivere un concetto per cui io impiego giri di parole. La mia è una scrittura più metafisica, la sua molto più pragmatica. In realtà ne “La Valle dei Re” ha tirato fuori la sua parte meno pragmatica e più onirica, colpisce molto la frase che dico nello special un po’ beatlesiano: “Chiedo scusa, sono ancora un re”. Per uno che ha cominciato la propria carriera con un EP che si chiama “Re Matto”, è una bella figata! Ringrazio Cesare, che è un altro pazzo folle libero.
Prima hai accennato a come sia difficile che un pezzo scritto da altri riesca a rappresentarti in pieno, infatti in “Solo 2.0” tutti i brani, eccetto qualche caso, erano nati da te. Anche in “#PRONTOACORRERE” tu compari come autore, ma hai lavorato su brani comunque creati da altri. Come si riesce a rappresentare una sfaccettatura di sé, nonostante questo?
In realtà, per quanto riguarda le collaborazioni con gli autori esteri, non ho mai riadattato o tradotto i testi proposti, anzi, ne ho cambiato del tutto il senso. Queste collaborazioni sono ciò che è rimasto della scrematura dei circa 40 provini che erano arrivati. Siamo partiti praticamente con Ben Hur, con una produzione faraonica. Questi, però, erano i pezzi che proprio mi rappresentavano meglio: una volta scritti ed adattati, messo il senso che tu vuoi far seguire alla composizione di quel pezzo, una volta riarrangiato, ti cuci il brano addosso. E’ come un abito largo, fai due cugni dietro e te lo stringi addosso, così è perfetto.
In questo disco, lo avevamo già visto a Sanremo, fai un uso diverso della voce, più essenziale, appunto, ed anche l’interpretazione lo è. Un altro cambio rispetto a ciò che avevamo visto fino ad adesso.
Beh, dobbiamo capire anche che cos’è la mia essenzialità, rimane comunque piuttosto barocca. Il confrontarti con altri autori, artisti o con chi con te partorisce questo disco, Michele Canova, è servito molto. Mi sono sempre guardato allo specchio, non so se per egocentrismo o insicurezza, però diventa alienante, guardi e vedi i tuoi difetti e dopo un po’ ti ci abitui a questi difetti. Confrontarsi con chi ha più esperienza in questo mestiere o chi ne ha meno o altre persone nella vita, volgendo anche la tua vita in una via più concreta, cambia anche il tuo modo di vedere la tua musica e la tua arte e quindi anche il modo di cantare. Rimane comunque il Marco di prima, ma oggi dà molta più importanza a ciò che scrive, alla parola, alle armonie e composizioni, alcune molto più semplici altre anche molto articolate. L’arzigogolo ci sta ogni tanto, ma deve essere un appuntamento. Ho le mie caratteristiche naturali, corde vocali sottili, mobilità vocale, vengo dal jazz, ho deciso di prendere il blues di New Orleans e portarlo in Italia, dove teniamo molto al testo in questo progetto. Sono contento di essere molto semplice in alcuni pezzi. Ci avevo già provato, ma non erano riusciti. Adesso sì.