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Michael Bublé presenta To Be Loved: “Finalmente un album come volevo”

Sabato 13 Aprile 2013 si è tenuta nel prestigioso Hotel Rome Cavalieri (ex Hilton) la conferenza stampa di presentazione di “To Be Loved”, il nuovo album di Michael Bublé anticipato dal singolo “It’s A Beautiful Day” e che uscirà il prossimo 16 Aprile. Una location d’eccezione, tra le più belle della Capitale, per far conoscere alla stampa italiana uno dei dischi più attesi del 2013. Quattordici brani, di cui quattro inediti scritti dallo stesso Bublé e dieci cover che pescano dal vastissimo repertorio dei classici statunitensi, “To Be Loved” si contraddistingue per una forte solarità, tratto ormai tipico del crooner italo-canadese, suoni dal sapore vintage affrontati in chiave moderna ed una forte intensità emotiva. Dopo 10 anni di carriera, 40 milioni di dischi venduti nel mondo,5 tour mondiali sold out ed aver pubblicato l’album natalizio più venduto nell’era moderna, Michael Bublé si è sentito finalmente pronto e libero di fare un album esattamente come voleva. Ce lo ha raccontato ieri, così.

L’ultima volta che sei venuto in Italia la tua famiglia stava affrontando un momento molto triste, a causa della scomparsa di tuo zio Gino. Ad Agosto, invece, ci sarà il lieto evento della nascita del tuo primo figlio: come sta vivendo questo momento la tua famiglia?

E’ stata una grande perdita per tutti noi, per mio nonno è stato molto duro anche a livello fisico perdere il fratello minore. Il fatto che mia moglie sia rimasta incinta ha dato anche a lui un nuovo slancio e ne siamo tutti felici. 

Michael Bublé | © MelodicaMente
Michael Bublé | © MelodicaMente

In “To Be Loved” ascoltiamo qualcosa di diverso rispetto agli album precedenti. Per la prima volta ti sei avvalso della collaborazione esclusiva di Bob Rock alla produzione e non del tuo produttore storico David Foster. Come mai questa scelta?

Questo è il mio sesto album in studio, pensare di tornare con qualcosa di simile a quanto già pubblicato sarebbe stato noioso sia per me che per il pubblico. Nel frattempo io sono cresciuto e mi sono meritato di poter fare un album così come lo avevo concepito e pensato, per questo ho deciso di lavorare con Bob Rock: siamo entrambi due persone che danno importanza alla vibrazione dei pezzi, come me lui è uno a cui piace lasciarsi andare, rischiare e vuole mettersi in gioco. Credo che sia una delle persone più fighe che io conosca. Certamente, mai come oggi io sono stato incerto sull’esito commerciale di un album, ma so che è il mio migliore album. Il fatto di avere un figlio in arrivo mi ha reso più coraggioso, mi ha portato a non preoccuparmi di ciò che i critici avrebbero detto e del successo dell’album.

In “To Be Loved” è presente un duetto con Reese Witherspoon, con la quale hai cantato “Something Stupid”. Sappiamo come tu sia versatile, incuriosisce molto l’idea del vostro duetto ed hai anche dichiarato di sperare di poter cantare il brano insieme con lei sul palcoscenico dal vivo. Ci puoi parlare di questa esperienza?

Sono un suo fan da sempre, soprattutto quando ha interpretato in “Quando l’amore brucia l’anima” il personaggio di June Carter Cash, che le è valso un Oscar, e poi ho apprezzato la sua voce, che ho ritenuto molto valida. Insieme abbiamo cercato di dare una rivisitazione più moderna di questo brano originariamente cantato da Nancy e Frank Sinatra, l’abbiamo incisa su nastro, modo più classico di operare. Sono molto soddisfatto, è il mio secondo brano preferito dell’intero album. E Reese mi ha confessato che aver interpretato con me questa canzone è tra i cinque momenti clou della sua carriera.

Tornando al cambio di produzione dell’album, David Foster ha firmato solo una traccia, “After All”, che tu canti in duetto con Bryan Adams. Cos’ha in più Bob Rock rispetto a Foster e quest’ultimo come ha preso questa tua decisione?

Io e David Foster siamo come fratelli, ma lui ha uno stile di produzione molto preciso, è un perfezionista, in questo senso lui è fantastico, non gli sfugge nulla, sente il tempo, se gli strumenti sono accordati, i cori, in questo senso è un genio della matematica. Io, però, ho un approccio diverso: sono un artista che sente la musica, a cui interessa un po’ meno la perfezione e tendo a privilegiare invece l’emozione. Io non ho scaricato David né l’ho abbandonato, abbiamo preso questa decisione assieme. Ci siamo guardati, ci siamo detti: “Ci vogliamo bene, siamo fratelli, ma è arrivato il momento di lavorare separatamente”. D’altra parte nel mio album precedente, “Christmas”, avevo realizzato la metà dei pezzi con David e l’altra metà con Bob Rock, mi era piaciuto tantissimo lavorare con quest’ultimo. Bob non è un genio della matematica come David, ma è un genio nel modo in cui riesce a sentire le cose con il cuore. Non è importante che sia tutto perfetto, che non ci sia la minima sbavatura, ma è importante che ci sia quel feeling che volevamo noi. Già in passato, lavorando con David, gli dissi che volevo realizzare un album pop come lo avrebbero realizzato i miei idoli, un po’ in stile Motown,volevo che passassero anche certi errori. Chiesi a David di accompagnarmi in questa avventura, lui mi rispose: ” Sì, certo, lo farò, ma non chiedermi di farlo mai più. Non è questo il mio modo di lavorare, io voglio mantenere il controllo”. Con Bob abbiamo lavorato in modo più estemporaneo, anche per quanto riguarda la parte vocale abbiamo lavorato nella control room e non in studio, un po’ come fa Bono Vox, spesso abbiamo fatto più registrazioni per poi abbandonare tutto e tornare alla prima demo. Avete presente “Il Grande Lebowski”? Ecco, Bob è il Drugo. (ride)
Quando ci siamo incontrati la prima volta, ero solo un ragazzo, stavo cercando di capire chi io fossi, stavo ancora lottando per impormi, per la mia carriera, per affermarmi, per guadagnarmi il rispetto del pubblico, per dimostrare che ero un artista. Oggi sono in una situazione diversa, è passato del tempo, io sono sereno e soddisfatto della persona che sono sia come artista che come uomo e penso di essermi meritato di aver realizzato questo album. Oggi posso dire di interpretare queste canzoni da uomo. Ho ferito delle persone, a mia volta sono stato ferito, il mio cuore è stato spezzato, ho vissuto. Sono pronto a fare questa musica.

Michael Bublé | © MelodicaMente
Michael Bublé | © MelodicaMente

Un paio di settimane fa hai presentato “To Be Loved” in uno show per la BBC 1, in cui ha cantato di fronte a delle fan incinta. Hai però dichiarato che tua moglie di ha dato dello sciocco, quando hai cantato per lei?

Mia moglie ha un senso dell’umorismo che bisogna saper cogliere. Tutto è successo all’inizio della gravidanza. Io non potevo sapere, perché non mi è mai capitato prima di aspettare un figlio… Lei mi ha detto: “Mi amor, perché non canti al bambino? Vuole sentire la tua voce”. A me è sembrato il massimo del romanticismo, così mi sono avvicinato alla sua pancia ed ho cominciato a cantare “Pretty baby” (canta per noi in sala, ndr). Lei a quel punto è scoppiata a ridere, mi ha preso in giro dicendomi: “Ma sei proprio scemo! Il bambino non ha ancora le orecchie, cosa vuoi che senta?!”.

Com’è stato duettare con Bryan Adams? Quale rapporto c’è tra voi? Proprio Adams, qualche anno fa, in un’intervista si lasciò ad andare ad un’imitazione di Leonard Cohen, con il quale aveva collaborato. Tu riesci ad imitare lui?

Oh, purtroppo non ho la voce rauca di Bryan! (ride) E’ strano, ma noi siamo come dei fratellastri: il mio manager è Bruce Allen, che è anche il manager di Bryan da quando lui ha 17 anni. E’ diventato il mio manager quando io avevo 25 anni. Quindi è come se entrambi fossimo dei figli per Bruce e tra noi siamo come fratellastri. Per me lui è sempre stato un idolo, un modello da imitare, anche perché lui è canadese come lo sono io, per me è stato una fonte d’ispirazione. Per “After All” abbiamo lavorato molto bene insieme, abbiamo due voci molto diverse ma che insieme funzionano. La cosa divertente da raccontare è che, quando lavoravamo insieme in studio, non c’era alcun problema, quando invece io cantavo le mie parti da solo, ero mandato ai matti perché Bryan stava tutto il tempo a farmi foto. Non so, a questo punto, se la sua carriera sia più come musicista o come fotografo! (ride)

Sono passati dieci anni da quando il successo è esploso a livello mondiale con mille impegni. La rottura con David Foster può essere sintomo di una volontà di uscire dagli schemi e dalle pressioni del successo, una richiesta di libertà?

Io mi sono sempre sottoposto a grosse pressioni. Anche adesso che sono più maturo non ho perso questo fuoco che mi brucia dentro, la differenza è che oggi ho più fiducia in quello che sono i miei istinti. Per quanto riguarda David, se gli domandaste tra tutti gli artisti con cui ha lavorato, chi è più consapevole del proprio valore, vi risponderebbe che sono io. So chi sono, ho fiducia nelle mie capacità,  però ho ancora dentro di me questa voglia che mi consuma, questa fame di arrivare alla vetta. Non penso di aver toccato il punto massimo della mia carriera, credo di poter raggiungere altri Paesi. Però, al tempo stesso, ci tengo a dire che io mi sento un uomo di famiglia, non voglio fare la replica di film già visti dal copione ben conosciuto, in cui vediamo la biografia della star di turno, che è giovane, si dà da fare per imporsi, ha il successo, poi incontra una donna, si sposa, ha dei figli, poi però li abbandona perché privilegia la carriera e solo dopo molti anni, guardandosi indietro, è consumato dai rimpianti. Io non voglio che questo sia il film della mia vita. Se possibile voglio avere entrambi, famiglia e carriera, se non ci riuscirò, pazienza, ma questo è ciò a cui punto.

Negli ultimi anni, a causa dei molti impegni, hai trascurato un po’ l’Italia…

Mi dispiace tantissimo aver dato questa impressione, nulla era più lontano dai miei desideri! Certo è che tocca visitare 42-44 Paesi, i giorni dell’anno sono solo 365, io ho fatto del mio meglio, ma a volte è difficile giostrare tutti questi impegni. Oltre tutto ci sono dei Paesi in cui sono un pochino meno presente, ma sto cercando di accorpare le mie esibizioni: ad esempio, a Londra anziché 40 date ho scelto di farne soltanto 10 all’O2, così da esibirmi davanti a più persone ma in un lasso di tempo più concentrato, sperando che funzioni. E’ anche vero che io ho profondamente deluso probabilmente il mio manager ed i miei agenti, facendo guadagnare loro meno soldi, perché ho modificato anche la tournée. (ride) Questo perché volevo stare più vicino a mia moglie, che è una attrice affermata, una donna di successo, la sua carriera è molto importante per lei ma è anche molto importante per me. Voglio starle accanto anche nei suoi impegni professionali. Ha appena finito di girare un film per Rai 1, siamo venuti ad abitare in Italia per circa tre mesi tra Roma e Trento. Le ho dedicato questo tempo, ma veramente ne vale la pena, anche perché come dicono gli inglesi “Happy wife, happy life”. (ride)

Michael Bublé | © MelodicaMente
Michael Bublé | © MelodicaMente

Hai sempre dichiarato di amare molto Elvis Presley. Qual è, second te, il contributo che ancora oggi questo artista dà alla cultura americana?

Elvis Presley ha avuto sicuramente un impatto forte nella cultura americana, è stato un’icona in passato. Non so attualmente quale sia l’impatto sulla società e la cultura, ma io ho voluto rendere omaggio ad un artista che amo moltissimo.

Da sempre sei molto legato all’Italia. Il nostro Paese in questo momento sta affrontando una situazione molto delicata dal punto di vista politico. Come veniamo visti all’estero?

Conosco la situazione politica italiana ed europea, sono molto appassionato di politica, mi interesso molto anche di quella americana. In merito ho delle idee molto precise, ma di cui magari potremo parlare in un’altra occasione. Io penso che il primo compito di un musicista sia fare arte, se ad un certo punto vuole parlare delle proprie idee politiche ed influenzare l’opinione pubblica con le proprie opinioni, allora è meglio che si dedichi alla politica. Anche perché i politici non parlano di musica, no?

Nel precedente album hai scritto due brani, in “To Be Loved”, invece, quattro tracce portano la tua firma. Hai mai pensato di scrivere interamente un album?

Ne ho scritte sei in questo disco, due usciranno come bonus track in un momento successivo. Però mi piace moltissimo quello che faccio, che ho sempre fatto fin da quando ero piccolo, ovvero reinterpretare il ricchissimo repertorio americano che abbiamo. Penso che continuerò a fare degli album che conterranno sia dei pezzi standard che originali. Non sono partito con l’idea di scrivere  quattro o più canzoni, ho voluto mettere insieme dei bei pezzi. Penso che vi piacerà.

Per chiudere: hai detto che “Something Stupid” è il tuo secondo brano preferito dell’album, ma qual è il primo?

Ah! Assolutamente “Come Dance With Me”.

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