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Molto forte incredibilmente vicino: la recensione

“Se il sole esplodesse, non ve ne accorgereste se non dopo otto minuti perché questo è quanto ci mette la luce a viaggiare verso di noi. Per otto minuti il mondo sarebbe ancora luminoso e caldo. Era passato un anno dalla morte di mio padre e sentivo che i miei otto minuti con lui stavano per finire”.

Oskar Schell (Thomas Horn) ha perso suo padre (Tom Hanks) l’11 settembre 2001 e il suo ricordo non lo ha abbandonato mai nemmeno per un secondo. Quasi per caso Oskar trova in camera del genitore defunto una chiave: non sa a chi appartiene e non sa a cosa serve, ma il ragazzo è convinto che quello sia un dono che suo padre gli ha lasciato in pegno. Inizia così una serrata caccia lungo le strade di una New York ancora ferita dalla tragedia che Oskar ricorda con l’epiteto “il giorno peggiore”. Il ragazzo, determinato ai limiti della cocciutaggine, intraprende un viaggio di ricerca, si confronta con personaggi pittoreschi e affronta le sue paure in nome della scoperta di verità che potrebbero non piacergli.

Portare sul grande schermo il complesso e affascinante romanzo “Molto forte incredibilmente vicino” di Jonathan Safran Foer non era certo impresa facile per via della natura molto complessa, stratificata e non semplicemente sintetizzabile in forma visiva del testo di partenza.

Il regista Stephen Daltry (“Billy Elliot” e “The Reader – A voce alta”) e lo sceneggiatore Eric Roth (“Forrest Gump”, “Il curioso caso di Benjamin Button”) si concentrano quasi esclusivamente sul lato patetico e sentimentale della vicenda, appiattiscono tutto il discorso sul percorso di formazione e crescita del giovane protagonista, rendendolo un invasato isterico alla disperata ricerca di un qualcosa di indefinito che può essere l’unico legame rimastogli con l’idolatrato padre morto tragicamente sulle Torri Gemelle.

Thomas Horn protagonista di Molto forte incredibilmente vicino

“Molto forte incredibilmente vicino” appiattisce (e di molto) l’idea di un viaggio di iniziazione di un piccolo uomo (e di una nazione, ma perché no, di un’intera società) verso una fase nuova della propria esistenza, attraverso la necessaria elaborazione di un lutto e la possibilità di aprirsi a nuove esperienze, nuovi incontri e diverse prospettive. Tutto questo nel film di Daltry è completamente assente e le tappe del viaggio di Oskar diventano esclusivamente momenti di sfoggio di un’umanità macchiettistica, tratteggiata in maniera sommaria e superficiale.

L’unico personaggio dotato di un certo qual spessore con cui Oskar è portato a confrontarsi è il misterioso ospite della nonna, un Max Von Sydow giustamente candidato agli Oscar. L’attore svedese è davvero il valore aggiunto di “Molto forte incredibilmente vicino” grazie ad un’interpretazione tutta votata alla sottrazione, alla valorizzazione di ogni singolo gesto, sguardo e soprattutto dei tanti silenzi di questo personaggio muto, ma che senza aprire mai bocca riesce ad essere molto più sincero e toccante di quanto non lo siano gli altri protagonisti del film.

Max Von Sydow in Molto forte incredibilmente vicino

Perché “Molto forte incredibilmente vicino” punta alla lacrima facile e ricattatoria, denso di retorica semplicistica e melensità spesso fuori luogo e sfacciata. Si pensi soprattutto ai personaggi dei genitori di Oskar, interpretati da Tom Hanks e Sandra Bullock, ai quali vorrebbero essere riservati i momenti emotivamente più coinvolgenti, ma che risultano di un sentimentalismo tanto telefonato quanto inefficace e a tratti irritante.

La narrazione di “Molto forte incredibilmente vicino” si trascina quindi per oltre due ore, regalando esclusivamente picchi di noia e disinteresse.

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