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Mosse Vincenti: la recensione

Mike Flaherty (Paul Giamatti) è uno scalcinato avvocato che trova la sua realizzazione lavorando anche come allenatore della squadra di lotta di un liceo newyorchese. Mike viene nominato tutore legale di un suo anziano cliente, Leo (Burt Young), ma quando il nipote di quest’ultimo, Kyle (Alex Shaffer), fuggito da casa, si rifugia dal nonno, la sua vita, quella della sua famiglia (in primis la moglie Jackie, interpretata da Amy Ryan) e quella dei ragazzi che allena subiranno dei bruschi cambiamenti.

Quello della seconda occasione è uno dei miti peculiari della società e della cultura a stelle e strisce. Il regista Thomas McCarthy (acclamato autore della pellicola nominata all’Oscar, “L’ospite inatteso”, oltre che sceneggiatore del capolavoro Pixar “Up”) adotta uno sguardo critico nei confronti della sua nazione, mettendo a confronto tre diverse generazioni che ormai sono abituate a non comunicare più tra loro e vivono esclusivamente della loro autoreferenzialità.

Mosse Vincenti - Il Poster

Leo (il nonno), Mike (l’uomo di mezza età) e Kyle (il ragazzo) sono tre figure tra loro diversissime eppure accomunate da un egoismo di fondo dettato prevalentemente dalla paura di aprirsi agli altri, che progressivamente verrà stemperato e lascerà spazio ad una riconciliazione e alla possibilità di un confronto fruttuoso, non unidirezionale e fatuo.

Ma “Mosse Vincenti” non si limita a parlare dell’incomunicabilità generazionale, ma usa la crisi economica mondiale come pretesto per parlare di una crisi più profonda e talmente radicata da essere impercettibile. Quella crisi di valori e di morale che porta il regista a soffermarsi a lungo su cosa possa spingere un uomo onesto (nel caso specifico il protagonista interpretato da Giamatti) a scegliere la strada sbagliata.

Malgrado le premesse meritevoli e sicuramente interessanti però “Mosse Vincenti” non convince a pieno nello sviluppo filmico dei suoi assunti teorici. La cattiveria e il cinismo che contraddistinguono inizialmente i personaggi si stemperano gradualmente fino a scadere in un buonismo di facciata, poco sincero e francamente fuori luogo.

Ma soprattutto in “Mosse Vincenti” si palesa ad ogni fotogramma l’idea del già visto e del già sentito: di un didascalismo di fondo che non aiuta per nulla a empatizzare con una vicenda mai veramente interessante e coinvolgente. D’altra parte la storia è l’ennesimo racconto di caduta e riscatto di un loser inadatto alla vita che incontra un altro personaggio che ne rispecchia le peculiarità di outsider e il confronto tra i due (intervallato da uno scontro) porterà entrambi a maturare e sentirsi in qualche modo inseriti o comunque a sopravvivere in un mondo che faticano a comprendere.

Mosse Vincenti di Thomas McCarthy

Se un elemento di novità e interesse poteva essere rappresentato dall’oggettiva sgradevolezza e causticità dei due personaggi principali (con menzione particolare per Paul Giamatti che nonostante la sua bravura sembra ormai essere schiavo di ruoli inevitabilmente uguali a se stessi), questo decade quasi immediatamente, e le dosi di cattiveria vengono annacquate fino a risultare inconsistenti e lasciar spazio ad uno sviluppo narrativo e a una conclusione scontati sia nei risultati che nelle modalità in cui vengono raggiunti.

L’impressione è quindi quella di assistere ad una commedia indie che procede con il pilota automatico, senza nessun particolare guizzo o qualche elemento memorabile, muovendosi tra stereotipi ed eccessiva indulgenza, mascherata da un pessimismo all’acqua di rose che di tanto in tanto fa capolino, ma che sa di manierismo e scarsa sincerità.

Non basta un comparto attoriale in forma (seppure nessuno degli interpreti regali una prestazione degna di nota) a sopperire ad una sceneggiatura piatta e schematica che ripropone alcuni topi indie con scarsa convinzione e brillantezza.

“Mosse Vincenti” è stato presentato all’ultimo Festival Internazionale di Torino, dove figurava all’interno del concorso della kermesse, ma non ha ricevuto alcun riconoscimento.

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