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Mr Beaver: la recensione

Walter Black (Mel Gibson), presidente di un’azienda di giocattoli sull’orlo del fallimento, soffre di una grave forma di depressione. Quando la moglie Meredith (Jodie Foster) lo caccia di casa, Walter sembra farsi travolgere da una spirale di autodistruzione che lo porta sull’orlo del suicidio. Ma poco prima di togliersi la vita l’uomo viene fermato dalla marionetta di un castoro che lo blocca prima di compiere l’irreparabile. Il pupazzo si fa chiamare Mr Beaver (cioè Mr Castroro) e benché legato e mosso dal braccio di Walter sembra avere vita e volontà propria.

Mr Beaver

Mr Beaver si propone come un vero e proprio propedeutico e aiuta Walter ad uscire dal periodo nero, riconquistare la fiducia del figlio più piccolo Henry e quello della moglie Meredith, mentre continua ad essere visto con diffidenza e un mal celato fastidio dal figlio maggiore, Porter (Anton Yelchin) giovane problematico che si barcamena come meglio può in un’esistenza tutta votata a rinnegare qualsiasi legame e somiglianza con il padre (tanto che Porter segna su fogli di carta tutte le similitudini che lo accomunano al genitore; errori che vanno corretti). A complicare la vita di Porter sopraggiunge anche la bellissima Ronda (Jennifer Lawrence), affascinante, misteriosa e problematica esattamente come se non più di Porter. Intanto Walter da passivo spettatore di un’esistenza che va a rotoli  diventa un vero e proprio vulcano di energia e di idee, riuscendo perfino e a rilanciare la propria azienda e a portarla ad un nuovo e inaspettato successo. Ma presto, Mr Beaver, da presenza giocosa e curiosa diventa, gradualmente, troppo ingombrante e, infine anche molto pericoloso. Per la sua opera terza da regista (dopo “Il mio piccolo genio” del 1991 e “A casa per le vacanze” del 1995), Jodie Foster ha scelta un soggetto molto particolare, difficile soprattutto per le modalità narrative con cui si poteva affrontare la storia di un uomo gravemente depresso che cerca la salvezza mentale sostituendo la sua personalità a quella di un castoro di peluche. Materia facilmente soggetta al patetismo, alla ridicolaggine più o meno volontaria, al ricatto sentimentale. Eppure tra i maggiori punti di forza di questo “Mr Beaver” ci sono proprio l’approccio e il taglio narrativo che la protagonista/regista ha deciso di dare alla vicenda. La (falsa) partenza è infatti da commedia, poi il film si sdoppia in maniera sorprendente, ma molto riuscita e convincente; e la crisi parallela di padre e figlio tocca corde serissime, spingendosi in direzioni inaspettate, trattate con una delicatezza, una sensibilità e un tocco sofisticato e intelligente veramente notevoli. Il film nonostante le premesse non è (o meglio non è solo) una favola moderna o una riflessione sull’essere se stessi nel mondo contemporaneo dove l’arrivismo e la spersonalizzazione sono dei dogmi cui obbedire per perpetrare una fantomatica, quanto illusoria felicità.

Mel Gibson in Mr Beaver

“Mr Beaver” è anche qualcos’altro: mostrandoci il suo protagonista Walter Black (e di rimando il suo interprete Mel Gibson che aderisce al ruolo in maniera perfetta in un caso esemplare di simbiosi tra personaggio e attore) in maniera sincopata e tutto sommato irrealistica (il pupazzo di Mr Beaver viene animato da Walter e vediamo le sue labbra muoversi all’unisono con quelle del pupazzo in una sorta di straniamento della messa in scena alla Brecht) Jodie Foster cerca di mostrare qualcosa di ben più complesso della semplice (si fa per dire) vicenda di un uomo depresso che in qualche modo riesce a superare la propria condizione di disagio e malessere esistenziale. Il disagio e l’inadeguatezza di Walter Black sono il disagio e l’inadeguatezza che ognuno di noi, seppur secondo differenti modalità, si trova a dover affrontare ogni giorno; e tutto ciò viene reso ancora più palese dalla storia parallela che coinvolge Porter e Nora, due giovani che affrontano con insicurezza un domani che non può essere privo di sofferenze, fragilità e desideri disillusi. Il castoro Mr Beaver è sostanzialmente un palliativo di fronte ad una malattia così grande come la depressione; così come le convenzioni (sociali o culturali) sono maschere e rimedi di scarsa efficacia nel nascondere le complessità e i malumori della vita di ogni essere umano. Ed è per questo che il film di Jodie Foster riesce ad essere coinvolgente e convincente, seppure non tutto fili sempre liscio (ad esempio la Foster si sacrifica in un ruolo secondario, ma il suo personaggio risulta troppo monodimensionale e privo di spessore). Ma d’altra parte l’imperfezione è uno dei tratti caratterizzanti dei nostri tempi e quindi anche di un film che riesce, sorprendentemente, a raccontarli così bene.   Foto: ilsussidiario.net

IL NOSTRO PARERE IN BREVE

Buon Film - Tra i maggiori punti di forza ci sono proprio l’approccio e il taglio narrativo che la Foster ha deciso di dare alla vicenda, con uno sdoppiamento sorprendente della trama.

PANORAMICA RECENSIONE

Voto CineZapping

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