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La musica non ha bisogno di pensioni, ecco perchè

Facciamo una premessa. Questo non vuole essere un trattato politico, bensì un’analisi personale e soggettiva dal punto di vista sociale. Le dinamiche, i tagli, pensioni, gli obiettivi, i fondi statali sono questioni che lasciamo ben volentieri a chi di competenza. Noi qui ci occupiamo di musica, vuoi sotto il profilo letteralmente musicale vuoi come fenomeno sociale. E, al bisogno, oggi proviamo ad affrontare questa tematica come fenomeno sociale, l’influenza cioè che la musica esercita sull’intera società e da parte di chi la diffonde.

Bene, scritto questo, arriviamo al punto. Da quando l’industria discografica ha cominciato a prendere piede negli Stati Uniti per diffondersi poi nel resto del mondo varie dinamiche si sono susseguite, un intero mondo/mercato ha visto luce e più generazioni hanno assistito a profondi cambiamenti sia negli usi che nei costumi. Si, perchè vuoi o non vuoi la musica (come categoria generale) è uno strumento volto ad influenzare gli ascoltatori, a prescindere dal genere, dal gusto (personale, soggettivo, opinabile ma non sindacabile). Non a caso numerosi cantautori come ad esempio John Lennon, George Harrison o Bob Dylan hanno utilizzato le loro canzoni come strumento comunicativo a sfondo politico.

Oddio, potrebbe sembrare una cosa facile e comoda (forse in effetti lo è) quella di cantare da un palco, lanciare un messaggio, e poi non fare niente nel quotidiano e cercare cioè di smuovere qualche coscienza. Ma una canzone, quando è, ha molteplici significati e non può essere schematizzata o chiusa in un’unica visione, in un’etichetta, in una critica, in un’offesa, e quindi o la si prende o la si butta via. Senza mezza misure. Tralasciamo anche la degenerazione alla quale stiamo assistendo in quest’epoca circa la commercializzazione dei generi musicali, la confusione che ne è scaturita, la mercificazione delle persone e dei personaggi, i movimenti economici da parte di grosse banche o multinazionali per far scomparire tutto quello che è stato, cancellando così la memoria storica. A noi oggi interessano le dinamiche sociali.

Ma ci pensate Voi se per caso domani mattina le radio, i gruppi musicali, i cantautori o perchè no i DJ e tutto il sistema discografico andassero in pensione lasciando così un mondo intero senza…musica?…senza emozioni?…senza sensazioni? Credo che questa sarebbe proprio una piaga, altro che! Non si avrebbe più il piacere di ascoltare un motivetto quando si è soli o in compagnia, quando si esce con gli amici, quando sei innamorato, quando la ragazza ti lascia. Insomma, per farla breve, sarebbe un tragedia. Ironizzando un pò, diciamo che solo quella ci è rimasta (la musica, cioè) e vogliono anche privarci? Non credo che accadrà mai però oggi tutto è possibile, anche quanto stiamo scrivendo.

Ancora, a parte questi fenomeni che avanzano in TV principalmente estratti dai talent show (oddio, qualche talentuoso comunque ne esce vedi ad esempio in Italia la cantante Noemi), a parte questa moda di diventare Dj’s che sta spopolando, a parte MTV, c’è quella categoria precedente (ma non antiquata) di cantanti e gruppi rock internazionali e nazionali che avendo ancora energia da vendere e da investire, consapevoli di aver comunque tracciato una strada che oggi seguono tutti, consapevoli oltremodo del fatto che il mondo ben presto si dimentica di noi quando non ci proponiamo annunciano reunion, nuovi progetti, nuove uscite discografiche, nuovi tour. Tutto questo perchè comunque, è doveroso dirlo, quando ci si abitua al palco non lo si vuole lasciare più. E se quando sei lì sopra riesci a comunicare a trasmettere emozioni, allora ben venga soprattutto se il panorama odierno offre poco di buono ed innovativo.

E così Mick Jagger in bilico tra il lavoro con i SuperHeavy ed un probabile concerto per i 50 anni dei Rolling Stone; Alice Copper che a 63 anni suonati reciterà il ruolo di se stesso nel film “Dark Shadows” al fianco di Jhonny Depp; Chuck Berry che con i suoi 85 anni ha ancora la forza di portare in giro successi come “Jhonny B. Goode”, “Maybellene”, “Rock’nRoll Music”, “Roll over Beethoven”; i Black Sabbath che annunciano la reunion con Ozzy Osbourne che ha 63 anni suonati; The Who che saranno di nuovo in tour dall’anno prossimo; stesso discorso per i Gunse’n’Roses e i Red Hot Chili Peppers che dopo anni di silenzio sono riapparsi sulle scene i primi con qualche Live i secondi con l’album “I’m With You” pubblicato quest’anno. Insomma è un terreno ancora fertile e nessuno è disposto a ritirarsi. Meglio, così almeno possiamo ancora apprezzare della buona musica che comunque ha visto un cambiamento dal punto di vista delle registrazioni, del concepimento, del modo di intendere, ma non ha cambiato rotta rappresentando ancora un punto di riferimento per qualsivoglia generazione sotto il profilo sociale.

Si, perchè qualsiasi momento della vita o della giornata è sempre accompagnato da un motivo da canticchiare o fischiettare, una canzone da cantare a squarciagola, un testo da scrivere sul quaderno o sul banco di scuola (o sul muro). E le pensioni spettano ai lavoratori, a coloro che hanno dedicato una vita intera a far crescere un’azienda pubblica o privata che sia e loro sono dei veri eroi. Al genere musicale, invece, non è gradita pensione alcuna. Loro sono qui per farci vivere o rivivere delle sensazioni, emozioni, gusti o pensieri. Almeno così non dobbiamo affidare il problema pensione a nessun organo di competenza, ma magari solo ai pionieri del genere. Che continuano a macinare canzoni e tour, facendo da monito alle nuove generazioni di qual è la musica che emoziona. Non quella che va di moda.

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