Frederick Wiseman, unico documentarista a essere stato insignito del Leone d’Oro alla carriera, entra alla National Gallery e ne esce regalandoci un viaggio emozionale e culturale ben più profondo di quello che molti di noi avrebbero visitando autonomamente il museo londinese.
National Gallery, presentato e acclamato nella Quinzaine des Réalisateurs alla settantunesima edizione della mostra cinematografica di Venezia, è più che un documentario ma —forse— meno di un film. É innanzitutto un viaggio e un incontro che ci consente di trovarci faccia a faccia con Rembrandt, Velasquez, Caravaggio e Turner —solo per citarne alcuni—, e a cogliere lati inaspettati ed elementi fondamentali della loro poetica e tecnica pittorica.
Scolasticamente parlando, la pellicola consente di cogliere e aumentare il nostro bagaglio culturale infinitamente di più di quanto, in genere, permettano di fare noiose pellicole sulla storia dell’arte, molte delle quali finiscono, ahimè, anche in sala.
Come uno spettatore invisibile, Wiseman ci accompagna per centottanta minuti fra i duemilaquattrocento tesori della galleria, con la delicatezza, la grazia e l’attenzione ai minimi dettagli che da sempre caratterizzano la sua peculiare attitudine alla fotografia.
Lo sguardo è scevro da qualsiasi indottrinamento o direzione prestabilita: senza voce narrante o musica di sottofondo siamo liberi di muoverci come vogliamo, senza essere indirizzati o invitati a una lettura prestabilita. Del resto questa è una delle grandi qualità del regista, svelare con discrezione i microcosmi che si nascondono dietro le cose che riprende.
Protagonista delle più di tre ore di riprese, selezionate e finemente montate come tessere di un unico splendido mosaico a partire da circa centosettanta ore di riprese iniziali, è il museo in tutte le sue declinazioni.
Wiseman ci consente una lettura inedita di molte celebri opere della cultura occidentale —come La vergine delle rocce di Leonardo o I coniugi Arnolfini di Van Eyck—, entrando direttamente nel quadro: né la cornice né il nome dell’autore sono inquadrati, e l’impressione che ne ricaviamo è quella di un dialogo e un confronto alla pari con soggetti che divengono ora vivi e autonomi.
Il principio guida seguito è quello di rompere lo schema dell’incorniciatura e della disposizione al muro dei dipinti per entrare nell’opera, alternando campi lunghi e primi piani, per lavorare poi sulla profondità di campo delle opere.
Noi osserviamo questi capolavori ma siamo al tempo stesso ripresi, la visione viene ribaltata di centottanta gradi ed ecco che la camera di Wiseman non perdona e si sofferma sui visitatori della galleria: dall’elité invitata ad un vernissage ad una scolaresca di bambini seduta per terra, passando per il turista addormentato sulla panchina e per i cultori della materia in estasi contemplativa.
Il museo, entità protagonista, viene mostrata anche in momenti meno noti della sua quotidianità, come la riunione del consiglio amministrativo della struttura o il lavoro dei restauratori e dei guardiani. Quale istituzione e industria, punto di riferimento mondiale per l’arte e la cultura, Wiseman non manca di registrare anche le proteste degli attivisti ambientalisti e i problemi che il consiglio direttivo si trova a dovere affrontare con la crisi e i tagli al personale.
Sfortunatamente questo gioiello della cinematografia contemporanea verrà proiettato nelle nostre sale solo l’11 marzo, creando un appuntamento senza dubbio imperdibile per tutti coro che vogliono lasciarsi affascinare e meravigliare dall’inedita perizia registica di uno dei più grandi documentaristi della nostra epoca.