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Non aprite quella porta 3D: la recensione

Era il 1974 quando Tom Hooper, professore di un college statunitenese, mise insieme un cast di attori non professionisti per realizzare quella che sarebbe diventata una delle pellicole horror più celebri della storia: Non aprite quella porta, ovvero le avventure del folle assassino e cannibale Leatherface. Il successo del film ha imposto nel corso degli anni una serie di sequel, remake, reboot e ora, perfettamente in linea con la tendenza degli horror moderni, è stata presentata anche una versione in 3D, per donare al folle assassino con la motosega quel tocco “stereoscopico” ormai tanto in voga in quel di Hollywood.

Diretto da John Luessenhop e interpretato, tra gli altri, da Alexandra Daddario e Scott Eastwood, il film è un ideale sequel della pellicola originale, ambientato subito dopo i fatti di sangue che hanno sconvolto una normale cittadina texana e aggiunge nuovi elementi alla saga, come la presenza della sorella di Leatherface.

Trama

Heather non ha mai avuto un rapporto semplice con la sua famiglia e le cose peggiorano quando scopre di esser stata, in realtà, adottata. Alla notizia della morte della nonna biologica decide di intraprendere un lungo viaggo verso il Texas, in compagnia di alcuni amici, per incontrare un avvocato locale che dovrà consegnargli il testamento del famigliare che comprende, tra le altre cose, una lussuosa villa e un orribile segreto ben nascosto tra i sotterranei…

La locandina di Non aprite quella porta 3D
La locandina di Non aprite quella porta 3D

Giudizio

Quarant’anni di Leatherface non sono certo facili da digerire. Partendo nel 1974 da una idea originale, e favorita dal tessuto sociale texano, Tobe Hooper riuscì a portare sul grande schermo, con pochi mezzi a disposizione, una onesta storia horror, piuttosto cruda e resa angosciante grazie alla brillante didascalia iniziale della pellicola che avvertiva come i fatti narrati nel fiilm fossero assolutamente reali. Insomma, una sorta di pre- found footage con tutta la psicosi collettiva che ne derivò, compresa una ricerca ossessiva sulle origini della famiglia cannibale. Oggi possiamo dirlo senza smentite: Leatherface non è mai esistito eppure là, dalle parti di Hollywood e non solo, i fan devono essere ancora molti ed è per questo che assistiamo alla ennesima messa in scena.

Non sarà certo il 3D a salvare questa pellicola che appare piuttosto moscia e completamente slegata dalla storia originale, nonostante l’incipit con le immagini del 1974 e un successivo “mini sequel”  che mostra gli abitanti del posto dare fuoco alla casa dei cannibali. La pellicola compie successivamente un balzo temporale di vent’anni circa, mostrandoci una allegra compagnia giovanile in viaggio verso i luoghi del massacro.

Nella prima parte il film segue il canovaccio standard degli horror movie, dalla partenza di un gruppo di ragazzi all’arrivo in un luogo ostile, in compagnia, oltretutto, di un autostoppista prelevato in una stazione di servizio. Sul posto troviamo i classici bigotti, uno sceriffo arrogante e una sfilza di documenti che raccontano della famiglia Sawyer. L’ambientazione risulta però soffocata e priva di pathos con personaggi che agiscono senza logica alcuna e una serie di twist ben poco azzeccati. Le – poche in realtà – scene slasher non alzano il tiro e la sensazione è quella di assistere a una ingarbugliata e forzata messa in scena, senza ritmo e suspense.

L’errore che farà infuriare maggiormente i fan è stato quello di voler presentare un lato diverso del carattere di Leatherface che noi tutti ricordiamo come un grosso uomo non dotato di intelletto e dalla ferocia inenarrabile. Ecco, dimenticatelo perché quello di “Non aprite quella porta 3D” è un “pazzo” in pensione, sempre affezionato alla sua motosega, ma decisamente sensibile  e talmente legato alla sua famiglia da ricordare il più classico dei “bamboccioni”.

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