Presentato in apertura al Festival del cinema di Torino 2009, “Nowhere boy” è approdato nelle sale italiane solamente questo weekend, praticamente sul finire del 2010. Alla fine del film non ci resta che chiederci se sia valsa l’attesa, oppure se vederlo o non vederlo sarebbe stata cosa indifferente.
Diretto da Sam Taylor-Wood, regista al suo primo lungometraggio cinematografico, “Nowhere boy” racconta l’adolescenza di John Lennon, per cui se vi aspettavate un simil-musical sui Beatles e quant’altro, avete decisamente sbagliato pellicola. Qui si parla di relazioni, di una sorta di triangolo sentimentale instauratosi tra John, la zia e la madre, che per molti anni è stata assente nella sua vita. Il film si basa, infatti, sul libro della sorellastra del celebre artista, Julia Baird, “Imagine: Growing Up with My Brother John Lennon“. Ma occhio, che a parlare di leggende, se non si sta attenti, si finisce male. Siamo negli anni della gioventù di John Lennon, la società del dopoguerra è spaccata in due: da una parte c’è chi rimane attaccato alla “vecchia cultura”, dall’altra c’è la società del rock’n’roll che si prepara al 1968 e alla rivoluzione sessuale. Da una parte c’è la zia Mimi Smith, figura austera e severa con la quale John è cresciuto; dall’altra c’è Julia Lennon, amante del rock’n’roll, madre assente improvvisamente ricomparsa che porterà il protagonista a muovere i primi passi nel mondo della musica. John Lennon è diverso da tutti gli altri, ma come molti altri è un ragazzo ribelle che sperimenta le novità nell’ambito musicale, che ama Elvis e disprezza il jazz, distrutto da sentimenti contrastanti nei confronti delle sue due madri. A diciassette anni, a causa di un incidente stradale, John perde Julia, proprio nel momento in cui stava imparando a conoscerla, e questo è un evento che segna per sempre la sua vita, ma che avviene anche nell’esatto momento in cui la leggenda dei Beatles diviene realtà. In questo caso c’è un piccolo errore cronologico, perché nel film la madre di John Lennon muore dopo i suoi diciassette anni e dopo che il ragazzo si è iscritto al college e il film si apre con la morte dello zio, che in realtà è morto dopo della madre. Nonostante questo, sicuramente dovuto al fatto di dover inserire tutti gli elementi in un’ora e mezzo di film, la storia scorre bene e senza intoppi, ma senza nemmeno convincere troppo.
Abbiamo tuttavia delle notevoli interpretazioni da parte degli attori, a partire dallo stesso Aaron Johnson che interpreta John Lennon. Certo, troppo muscoloso e troppo belloccio per ricordare anche solo vagamente il compianto musicista. John Lennon viene mostrato inizialmente come un ragazzo chiuso, a volte quasi al limite del mutismo, poi ribelle e decisamente scontroso, talvolta anche troppo violento. Di sigarette in questo film se ne fumano a migliaia, così come anche le birre, che vanno giù che è una bellezza. John odia portare gli occhiali, ma per fortuna c’è zia Mimi che gli ricorda sempre di indossarli, forse aveva un lieve sentore che quelli sarebbero diventati un vero e proprio simbolo di Lennon? E poi i capelli, una vera e propria ossessione: John Lennon che vuole essere Elvis. Al di là di queste “piccole” pecche, abbiamo una buona interpretazione anche di Kristin Scott-Thomas, donna fiera e a volte troppo orgogliosa, incapace di dimostrare pienamente quel che prova e sempre attenta alle formalità, decisamente una donna che va in senso contrario rispetto alla società e ai tempi. In opposizione c’è la sorella, con la quale si è instaurato un rapporto di odio-amore al quale si trova rimedio solo poco tempo prima della sua morte. Julie Lennon è interpretata da una bravissima Anne-Marie Duff, che con abilità passa dagli attimi di felicità estrema accanto a John, per poi cadere nella depressione più totale, scontrandosi con il rifiuto del figlio e con il suo infelice passato. A coronare il tutto c’è Thomas Sangester, lontano anni luce dal somigliare a Paul McCartney, ma che ci regala una buona interpretazione. Apprezziamo anche il suo impegno per aver imparato a suonare la chitarra da mancino, per calarsi al meglio della parte. Ma per fare di un film un buon film non sono sufficienti le interpretazioni degli attori. Nel complesso “Nowhere boy” non è una pellicola mal riuscita, ma di certo per chi segue i Beatles e John Lennon da anni e li conosce a fondo, non potrà essere il miglior film del mondo. Una saggia scelta quella di non menzionare mai il gruppo di Liverpool e lasciarlo praticamente solo sul finale, appena accennato. Questo rende ancor meglio l’idea di un film che non racconta la storia dei Beatles. Suscitava senza alcun dubbio curiosità il fatto di poter conoscere una leggenda prima che diventasse tale e scoprirne le debolezze e le fragilità, e il concetto è stato espresso chiaramente da Sam Taylor-Wood e dalla sceneggiatura di Matt Greenhalgh. Di contorno anche un’ottima scelta delle musiche, curate tra l’altro dal duo elettronico Goldfrapp. Al di là delle modifiche temporali e delle somiglianze nemmeno vaghe degli attori con i reali personaggi, possiamo dire che “Nowhere boy” sia una pellicola da guardare senza troppo impegno. Una storia da prendere con il dovuto distacco, un omaggio ammirevole ma lontano dal mito che da generazioni abbiamo imparato ad amare.