“Atto Secondo” è, nemmeno a dirlo, il secondo album dei Nuju, gruppo calabrese folk rock, o patchanka se preferite, che torna sul mercato discografico con un ottimo lavoro. Provenienti da quella terra che ha dato i natali tra gli altri a Peppe Voltarelli, che con Il Parto delle Nuvole Pesanti prima e da solista dopo ha ha portato il genere in giro per il mondo, i sei componenti della band trovano la loro identificaizone nel nome Nuju, che in italiano significa Nessuno, e usano proprio questo nome per identificare un viaggiatore dei giorni nostri, in contrapposizione quasi a quello classico di Omero. Dopo la presentazione in anteprima, abbiamo avuto modo di ascoltare “Atto Secondo”, album prodotto dai Nuju stessi insieme a Lorenzi Ori, un lavoro che senza ombra di dubbio non lascia nulla al caso e riesce benissimo. Il disco si apre con “Parto“, simbolo dell’inizio di un viaggio, in cui la voce di Fabrizio Cariati dice già molto, i cambi di tempo condiscono bene il brano, ma la ciliegina sulla torta è la presenza di Francesco “Fry” Moneti dei Modena City Ramblers al violino (lo stesso lo sentiremo anche in “Vanità”, “Femme” e “Mamamia”). Tutto ciò in un brano a cui poco manca per arrivare a quel Celtic Rock dei Pogues. Sa di cantastorie rock progressivo “Zingara“, dove la tranquilla chitarra di Marco Ambrosi e la più ritmata batteria di Stefano Stalteri accompagnano un testo ambiguo che descrive si una zingara ma più che altro in quel che sembra voler dare l’idea di una autobiagrafica voglia di nomadismo. Il brano più commerciale, permetteteci il temrine, dell’album è “Disegnerò“, primo singolo estratto con tanto di video da “Atto Secondo“. Ma non facciamoci ingannare, che possa essere un brano di successo no nsignifica che sia di bassa qualità, anzi la caratura è elevata, il ritmo trascinante ed il testo intrinso di un romanticismo di altra tempo. Se poi mettete che la base musicale sa un pò di una delle tarante di Vinicio Capossela, allora il gioco è fatto. A segnare l’apice del disco è forse “Fiore“, brano che chiaramente segna il disagio che attualmente sta vivendo l’Italia, lo si sente chiaramente nelle liriche che dicono “di quel che vedo non mi frega niente se la mia vita la decide il presidente“, quando nominano le “Ragazze immagine e troie di stato“, ancora quando parlano “di un ministro bacchettone che chiude anche le scuole” o infine di “terremoto ed alluvione, non è civile questa protezione“. In tutto ciò si intraveda una speranza, tracciata anche da una musica non triste o arrabbiata, ma quasi allegra in quella che varia tra un leggero ska ed un rock latino. Non cala il livello in “Vanità“, altro brano di tutto rispetto, che insieme al precedente avrà fatto tornare in mente a molti i Mano Negra, e che con l’ottima fisarmonica di Roberto Virardi richiama quelle atmosfere della Parigi di inizio ‘900 , il tutto senza dimenticare che alla fine i Nuju sono sempre folk rock. Sa di sperimentazione invece “Movement“, brano cantato in inglese e che tra i cambi di tempi e l’elettronica ci fa sentire qualcosa di nuovo e da l’idea di quella carica da concerto in cui non si può stare fermi ed il pogo, tra i suoni delle percussioni di Roberto Simina, è d’obbligo, perchè in fondo, come dicono gli stessi Nuju, “chi si ferma è perduto“. Più lento ma ancora con una linea che tende verso l’elettronica è “L’Equilibrista“, brano molto introspettivo nelle cui sonorità hanno la meglio i synth, che lascia tante domande e ancora una volta da l’idea di una generazione che è quasi rassegnata che sa che la gioia è un imbarazzo e si imbarazza della gioia. Tra cambi di tempo e carica adrenalica si presenta “Il Solito“, un altro dei pezzi riuscitissimi in “Atto Secondo” ed ancora una volta una di quelle canzoni che ti fanno venire voglia di saltare e ballare. Naturalmente la lirica non è da meno, alternando gli attacchi ai modi in cui la società ci ha abituati alla speranza di chi ancora vuole essere felice. I Nuju ci fanno rilassare con le atmosfere tranqulle di “Femme“, aprendoci gli occhi sul fatto che il tempo passa e spesso le cose buone non vengono godute. Ci viene così voglia di chiudere gli occhi e viaggiare con la mente accompagnati da questa leggera musica nel percorso che i Nuju, come dei moderni Ulisse, compiono. Prima di chiudere si ha tempo anche di ascoltare un pezzo cantato in tedesco, che richiama alla mente i tempi in cui si era soliti dalla Calabria emigrare verso le terre della Germania in cerca di fortuna. Dopo un rincorrersi di suoni il brano prima di chiudersi si propone in quello che è quasi un lamento. é un contrasto nel tutto, una babele di suoni, di lingue e di culture, forse la massima espressione che può esserci nel patchanka. Si arriva alla fine del disco, tocca a “Fuoco” chiudere il tutto e lo fa un pò come il brano di apertura ci ha introdotto nel disco, tra suoni che sanno di celtico e le parole che prima ci dicono il perchè i Nuju cantano (e quindi perchè c’è stato un “Atto Secondo”), nelle parole “canto per non reprimere e dare un senso al mio malessere” ed infine ci indicano ancora una volta che i “i sogni son desideri, a volte finti a volte veri, i sogni fan paura e grazie all’immaginazione si realizzano“. Alla fine del disco siamo soddisfatti dell’ascolto, i Nuju con “Atto Secondo” hanno dato un’ottima prova di maturità, ci hanno fatto intraprendere con loro un viaggio, in cui oltre a Francesco “Fry” Moneti hanno coinvolto in prima persona Antonio Rimedio, Manuel Franco, Gennaro “Mandara” De Rosa, Vincenzo Durante, Elena Wum, Michele Murgioni e Massimiliano Aquilano. Ci auguriamo e speriamo per loro però che questo disco sia solo un passaggio verso nuovi orizzonti, in attesa di un loro nuovo lavoro che potrà soddisfarci allo stesso modo e della possibilità di vederli dal vivo e poter apprezzare i loro suoni ed i loro testi anche dal vivo.