Dove lo collochi un film come “Partisan“? È un po’ thriller, un po’ drammatico, è una storia distopica e ha un taglio un po’ indie, è tutto questo o anche niente di tutto ciò.
Si tratta del film d’esordio di Ariel Kleiman ed è uscito nel 2015, con protagonista Vincent Cassel. Più che un film d’esordio, però, sembra il lavoro di un regista decisamente più attempato, con una lunga esperienza alle spalle e le idee molto chiare. Non per niente Ariel Kleiman per la sua giovane età (è nato nel 1985) ha già ottenuto numerosi riconoscimenti e “Partisan“, scritto con la compagna e sceneggiatrice Sarah Cyngler, ha contribuito ad accumularne altri.
La storia è ambientata in un tempo non definito e in un non-luogo, all’interno di una micro-comunità composta da donne e bambini, al centro della quale domina indiscusso Gregori (Vincent Cassel). Sguardo selvaggio, cuore d’oro, almeno agli occhi delle donne che ha salvato. Kleiman non ci spiega perché esista questo posto, circondato dal nulla e poi da immensi palazzoni e cieli grigi, che rendono l’atmosfera distopica e angosciante; come a voler dire che non è che fuori dall’ambiente protetto creato da Gregori ci sia granché da vedere. Non ci spiega nemmeno perché quelle donne si trovino lì, ma sappiamo che sono immensamente riconoscenti a Gregori e che i loro figli vengono educati (e concepiti) da lui, che li intrattiene con numerose attività nel cortile di questa casa dall’aspetto decadente, valorizzata in tutta la sua semplicità dalla fotografia. Gregori sembra una persona dalle buone intenzioni, che per qualche misterioso motivo si prende cura di donne e bambini, costruendo per loro un mondo genuino e pulito in cui non ci si annoia mai e si imparano i valori della convivenza e del rispetto reciproco. Si impara anche che non c’è nulla da vedere o da aspettarsi dal mondo fuori, quello è off-limits. E poi, dettaglio che Ariel Kleiman butta lì come se nulla fosse, si impara anche a uccidere. Ed è questo l’unico modo che i bambini hanno per uscire dall’harem di Gregori, per poi farvi ritorno senza concedersi alcuna distrazione.
La naturalezza con cui questo “dettaglio” viene inserito nel contesto è dovuta al fatto che il regista ci sta raccontando la normalità di Gregori e delle persone che lo circondano. L’uomo ha costruito il suo piccolo impero su degli ideali che per lui sono giusti e dovrebbero esserlo per tutti i suoi seguaci, senza se e senza ma. E nonostante l’attività che fa portare avanti ai bambini, simbolo di innocenza e purezza, il personaggio di Gregori risulta pur sempre un benefattore, che a suo modo sta aiutando delle persone. Scopriamo, però, che tutto questo si interrompe nel momento in cui il suo potere viene messo in discussione. Il piccolo Leo è una new entry della comunità insieme alla madre, ma la sua intelligenza superiore corrisponde anche a una certa supponenza che Gregori proprio non vuole tollerare. Le sue certezze e il suo culto iniziano a vacillare quando un bambino mette in discussione anche i suoi errori più semplici. A questo si aggiunge Alexander (Jeremy Chabriel), il più promettente di tutti, che sta entrando nell’adolescenza e inizia a porsi qualche domanda. Il bambino sente una naturale attrazione verso il mondo esterno, che però gli viene puntualmente negato. Rispetto agli altri bambini, Alexander inizia a diventare immune ai precetti di Gregori e inizia a capire che il patriarca non sempre ha ragione e che le cose e le persone possono essere messe in discussione. Il bambino ne prende coscienza gradualmente e Ariel Kleiman disegna perfettamente questo percorso, come una sorta di uscita dalla caverna, che diventa anche letterale e visiva, che subisce un’accelerata dopo l’arrivo di Leo. In più c’è un nuovo fratellino del quale prendersi cura e a qualunque costo, oltre a un mondo che richiama con insistenza, oltre le mura di un’isola che non c’è, un posto apparentemente idilliaco con al centro un tiranno.
Nel suo ruolo Vincent Cassel è impeccabile, la sua stessa fisicità si presta perfettamente per interpretare Gregori: un uomo dalle mille sfaccettature, capace di essere la creatura più docile così come una bestia violenta, che cela tutto sotto una maschera facile da togliere, una volta scovato l’inganno. Alexander è impersonato da un intenso Jeremy Chabriel, questo ragazzino bellissimo dagli occhi di ghiaccio, capaci di sfidare il padre padrone con freddezza disarmante. Un ragazzino costretto a perdere la sua innocenza in nome di valori che non ha scelto e per i quali non ha paragoni ma disposto a sporcarsi le mani pur di difendere ciò che ha di più prezioso. Il finale di “Partisan” è un pugno nello stomaco, perché Kleiman racconta con la massima semplicità una storia che, di fatto, è estremamente cruda, calibrandola con la giusta dose di ironia sempre in tempi perfetti. Trascina lo spettatore così in profondità che non ci si rende conto della storia nella sua interezza fin quando non arrivano i titoli di coda e, un po’ storditi, si fa un riepilogo mentale e una riflessione necessaria.