Un vero peccato, il “Perez.” di Edoardo De Angelis. Un bel lavoro lasciato a metà e che alla fine lascia sul palato un ingiusto sapore d’amarezza.
Il film è nelle sale dal 2 Ottobre e nel cast ci sono Luca Zingaretti, Marco D’Amore e Simona Tabasco.
Secondo lungometraggio del regista napoletano dopo “Mozzarella Stories” (2011), il film racconta la storia di Demetrio Perez (Luca Zingaretti), un avvocato d’ufficio privo di carattere e i cui sogni sono sempre rimasti chiusi nel cassetto a causa della mancanza di coraggio. Vive con la figlia Tea (Simona Tabasco) che il suo amico e collega Ignazio (Giampaolo Fabrizio) non esita a definire senza mezzi termini una “zoccola”, soprattutto perché frequenta Francesco Corvino (Marco D’amore), figlio di un boss ora in carcere col 41-bis. Perez sarebbe disposto a tutto per rompere la relazione fra i due, e l’occasione arriva quando un boss pentito bussa alla porta del suo ufficio.
Il film ha il grande pregio di gettare lo spettatore in un’atmosfera noir e molto convincente fin dalle prime immagini. La storia scorre bene, i personaggi sono credibili e ben definiti. De Angelis riesce a restare in equilibrio anche camminando su un filo pericoloso come affidarsi a Marco D’Amore, evitando che Ciro Di Marzio (il potente personaggio della recente “Gomorra – La Serie“) torni con prepotenza nella scena. D’Amore fa un personaggio molto simile, ma nuovo nei gesti e nella lingua. Almeno fino a un certo punto. Sì, perché poi qualcosa cambia. Difficile a posteriori trovare il punto preciso in cui la storia perde “verve”, i personaggi diventano inverosimili e la trama si scombussola. Purtroppo avviene e basta, lentamente, dopo circa una quarantina di minuti, e suscita un insieme di interrogativi. Del tipo: perché a un certo punto abbandona completamente un personaggio che “funziona”, chiudendo la sua storia così frettolosamente? Oppure: qual è il carattere che viene fuori in Perez e come viene giustificato?
La musica cambia, il noir diventa psicologicamente debole e la tensione, anziché aumentare vertiginosamente, fa un balzo per poi restare definitivamente piatta. Manca il vero punto di svolta della storia. Così anche Corvino ad un tratto si toglie le vesti di “guaglione sfortunato” e indossa quelle di Ciro Di Marzio, tornando nei modi e nel parlato il “soldato” della Famiglia Savastano. Infine, i titoli di coda arrivano quando ci sarebbero tutti i presupposti per iniziare una nuova storia. Dubitiamo, però, che vedremo un secondo capitolo dell’avvocato Perez.
Ci rincuora la consapevolezza di aver avvolto i nostri dubbi non nella carta vetrata, ma solo in una spessa carta velina: l’invito è quindi a far sì che il bravo regista campano riesca a strapparle e correggere la ricetta. Perché in fondo la sostanza iniziale era veramente di grande livello. E lasciava in bocca un ottimo sapore.