Pino Daniele non c’è più. Il cuore, stroncato da un’infarto, si è fermato nella notte nella sua casa a Magliano in Toscana. Inutile la corsa in ospedale, una notizia che toglie il fiato. Avrebbe compiuto 60 anni il prossimo 19 Marzo, un tour appena concluso “Nero a Metà” che ha fatto registrare il sold-out in tutte le città italiane interessate e un progetto in sospeso, un “Festival del Mediterraneo” che avrebbe voluto creare per dar voce a chi voce non ne ha. E tanti altri. L’ultima apparizione lo scorso 31 Dicembre a Courmayeur in diretta su Rai Uno, l’ultima volta che le sue mani hanno sfiorato la chitarra, quella chitarra che ha regalato speranze, gioie e musica…tanta musica ad una generazione che oggi si (ri)sveglia senza voce.
Ci lascia uno dei più grandi autori della musica del ‘900. Il suo cuore lo ha tradito. “I nun voglie ‘i America, pecché nun ponno capì st’America” cantava Pino Daniele agli albori degli anni ’80, esorcizzando quel male che lo ha accompagnato fino alla fine dei suoi giorni. Avrebbe potuto operarsi, ma più volte ha ribadito negli anni “un musicista suona con il cuore prima che con le mani. E senza il mio cuore non posso fare molto”. Prima Giorgio Gaber, poi Fabrizio De Andrè, oggi Pino Daniele, il modo peggiore per aprire un nuovo anno.
(De)cantata, stuprata, la sua Napoli si sveglia attonita questa mattina, il ragazzo dei quartieri che ha incantato il mondo con personaggi come “Furtunato tene ‘a rrobba bella” oggi non c’è più. Dichiarato il lutto cittadino nella sua Napoli, continueremo ad ascoltarlo nelle sue incisioni che hanno segnato una generazione. I messaggi di cordoglio dei fans, dei colleghi e degli amici. E ancora non riesco a crederci.
Pino Daniele: Un po’ di storia.
Dal suo primo gruppo Batracomiomachia fino al 1975 quando registrò la sua chitarra in un brano (rimasto inedito fino al 2012) del nero a metà per eccellenza Mario Musella. Poi l’incontro con l’americano James Senese e la nascita nel neapolitan power. Sognava, sognava Giuseppe Daniele di suonare la chitarra come Eric Clapton, tanto da suonarci in concerto a Cava dè Tirreni quattro anni fa, con la chitarra di Clapton che intona “Napul è”. La scelta della EMI di pubblicare un album come “Terra Mia” (1977) fa conoscere all’Italia un giovane cantautore che canta in dialetto ma compone con il cuore. Poi Tullio de Piscopo, Joe Amoruso, Rino Zurzolo, Tony Esposito, Ernesto Vitolo, Gigi de Rienzo prima di arrivare a Richie Havens, ci hanno regalato pietre miliari come “Nero a Metà” (1980) e “Vai mò” (1981). Il primo il disco della svolta, il secondo quello della consacrazione quando nel 1981 in Piazza del Plebiscito accorsero più di 100.000 persone per cantare insieme al nero a metà.
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Prima del 1989, anno in cui vediamo Pino Daniele in scena per “The night of the guitar” insieme a Randy California, Robby Krieger, Phil Manzanera, Steve Hunter ci sono album come “Bella ‘mbriana” (1982), “Musicante” (1984), “Ferryboat” (1985), “Schizzichea with Love” (1988), “Mascalzone latino” (1989) non più con il dream team che oramai si era sfasciato, salvo ritornare in auge nel 2012, per intero, quando a Giuseppe Daniele venne in mente di portare tutti sul palco del Palapartenope di Napoli per sei giorni di musica. Pino Daniele chiama, la città risponde. “Ossaje comme fa’ ‘o core” scritta a quattro mani con Massimo Troisi, un filo comune che segna due destini figli di Partenope. Dopo 20 anni le note son sempre quelle.
Odiava profondamente ogni frase fatta o ricorso ai luoghi comuni, la scelta stilistica di comporre liriche in lingua italiana che lo ha accompagnato dalla seconda parte degli anni ’90 fino ad oggi è stata abbandonata per un disco di inediti, che avrebbe visto luce proprio quest’anno: un ritorno alle origini.
Ciao Pino.