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Polisse: la recensione

“Polisse”: “Potente bellissimo e necessario”; “Un grande schiaffo”; “Prodigiosamente efficace e teso”, sono i commenti – riportati su manifesti e locandine del film – di una critica entusiasta in seguito alla visione del film di Maïween Le Besco, interpretato dalla stessa regista e da  Karin Viard, Joeystarr, Marïna Fois e Nicolas Duvauchelle.

 

Polisse: Maiween

Sinossi

Di cosa è fatta la routine quotidiana degli agenti di polizia della Sezione Protezione Minori? Arrestare pedofili, acciuffare piccoli borseggiatori e poi riflettere sui rapporti interpersonali durante la pausa pranzo; interrogare genitori che abusano dei figli e raccogliere le deposizioni dei bambini, affrontare adolescenti dalla sessualità fuori controllo, gioire per la solidarietà dei colleghi e scoppiare a ridere in modo irrefrenabile nei momenti più inaspettati. Sapere che al peggio non c’è mai fine e tirare avanti con questa consapevolezza.

Polisse

Giudizio sul film

“Polisse” nasce casualmente, proprio come il suo nome (storpiatura della parola police compiuta “per errore” dal figlio della regista) ma nulla viene lasciato al caso. Il film colpisce perché attacca in profondità, si addentra nei meandri più oscuri e lo fa per portare alla luce una drammatica realtà fatta di uomini e di bambini di forti e di deboli, di codardia e di coraggio, di amore  e tradimento. Maïween dimostra di essere una regista dal grande talento, (apprezzatissima a Cannes) con questa suo terzo lavoro dietro la macchina da presa che nasce in seguito alla visione di un documentario sulla Sezione Protezione Minori. Una unità speciale della polizia francese che non molti – regista compresa – conoscevano. Un tema, oltretutto, cinematograficamente vergine. E basato su una storia vera. O meglio, come precisato anche dalla talentuosa regista, il film è basato esclusivamente su fatti ai quali la stessa Maïween ha assistito, nei giorni trascorsi insieme agli uomini della Brigata Protezione dei Minori. E tutto fa ancora più male, se aggiunto a quel tocco da camera in spalla col forte richiamo al linguaggio documentaristico che la regista utilizza.

Maïween nel film veste i panni della fotografa Melissa incaricata di documentare il lavoro della BPM e – scontato – legherà particolarmente con il duro dal cuore tenero del gruppo, Fred, autentica valvola di sfogo e portatore sano di emozioni nuove e diverse, in antitesi, ovviamente, con la normalità matrimoniale  e la noia di un “formale” rapporto di coppia. In realtà Fred, e gli altri uomini della divisione, sono solo un mezzo per arrivare al cuore della storia, delle storie anzi. Perché “Polisse” è un dramma apparecchiato su una scacchiera in cui ogni pezzo, ogni mossa, è essenziale. La sfrenata sessualità fuori controllo degli adolescenti, parenti che preferiscono un doloroso silenzio alla vergognosa realtà, pedofilia, abbandono, diversi percorsi con un unico denominatore: il dolore, quello provato dalle vittime (e quando parliamo dei bambini il colpo al cuore è doppio) e quello, a volte celato, provato dalla Brigata, dai suoi uomini così fisicamente grandi e allo stesso tempo piccoli, minuscoli di fronte al senso di ingiustizia condiviso. Forse, per questo, è così evidente il cameratismo,  e le gestioni delle giornate da pianificare insieme. Come un sol uomo, come una sola entità. Ignorata dalle altre divisioni della polizia francese (eppure svolgono un lavoro assai delicato) questa unita è composta da poliziotti che vivono quotidianamente in simbiosi nonostante poi non manchino rivalità e rapporti più o meno tesi. E non mancano le risate. Sì, e proprio qui troviamo il pregevole tocco di Maïween, capace di mettere in scena sequenze al alto contenuto comico contestualizzate in un ambiente drammatico. E anche questo, dopotutto, fa molto documentario, l’umanizzazione dei personaggi è evidente, lo svago rende la storia sopportabile. Così come la presenza di Melissa, entità aliena alla brigata ma capace di straordinaria empatia, e non solo.

Un finale di valore accompagna lo spettatore dall’uscita della sala, ci vorrà del tempo per dimenticare gli occhi, le gesta,  e il dolore che traspare dalla pellicola (e consideriamo le complicazioni nel lavorare con dei minori). Non è un mondo perfetto e in Francia lo hanno capito, le idee non mancano e il talento nemmeno. Una speranza per la cinematografia europea e un augurio, quello ai nostri cineasti, di aprire il cuore a nuove strade, nonostante le difficoltà. Dopotutto, “Polisse” è un lavoro fatto con l’anima, il budget – comunque limitato – in questo caso è secondario. In realtà, un pezzo d’Italia nel film c’è, grazie alla interpretazione di Riccardo Scamarcio (anche se il suo ruolo è stata ampiamente tagliato), talmente fugace da sembrare casuale.

Consigliatissimo

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