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Prometheus: la recensione

In Azerbaijan, Bielorussia e Bulgaria dal 31 maggio, nel Regno Unito dal primo giugno e in Spagna e Germania nei primi giorni di agosto: di cosa stiamo parlando? Di paesi e relative date d’uscita dell’ultima fatica cinematografica di Ridley Scott, quel “Prometheus” che da noi sbarcherà solamente il 19 ottobre, ultimo paese al mondo insieme alla Svizzera (parte italiana). Chiaro, a questo punto, che in un eventuale gita all’estero uno degli obiettivi papabili, insieme alle consuete visite culturali, possa essere la ricerca di un cinema, possibilmente dotato di tecnologia 3D (a Londra non avrete problemi), che trasmetta questa pellicola fantascientifica tanto attesa dai fan della saga di “Alien” (si può considerare “Prometheus” un prequel) e non solo.

Questa è la nostra recensione:

“Prometheus” è una navicella spaziale costruita dalla Weyland Corporation (e finanziata dal suo fondatore, un Peter Weyland ultranovantenne interpretato da Guy Pearce) per raggiungere un oscuro e misterioso pianeta lontano milioni di miglia dalla terra alla ricerca degli “ingegneri”, ovvero coloro che avrebbero portato vita sul nostro pianeta, con la creazione del genere umano. L’equipaggio della nave, costretto a un lungo viaggio in ibernazione, viene comandato da Meredith Vickers (Charlize Theron) e monitorato dall’androide David (Michael Fassbender).

Prometheus

 

Giudizio sul film

Il doppio prologo ci suggerisce immediatamente delle sensazioni positive: una navicella aliena sbarca su quella che possiamo considerare la terra, uno dei membri si addentra sul ciglio di una mirabolante cascata (effetto cinematografico stereoscopico di livello) e si ciba di un particolare liquido nero che lo porterà alla distruzione fisica con annessa dispersione nell’acqua degli elementi costitutivi della vita. Balzo nel futuro: 2089 due archeologi Elizabet Shaw (Noomi Rapace) e Charlie Holloway (Logan Marshall – Green) scoprono un murales probabilmente appartenente a 35.000 anni prima. Quadratura del cerchio: dai vari siti archeologici di tutto il mondo (maya, sumeri, babilonesi, tibetani, egizi) sono state trovate delle incisioni speculari con protagonisti dei  giganti che indicano una galassia sconosciuta dove si trova un pianeta – molto simile al nostro – e una luna. Quest’ultima sarà l’obiettivo, raggiunto dopo due anni di viaggio, dell’equipaggio composto da una nutrita schiera di biologi e scienziati.

 

Una sequenza del film Prometheus

 

Quindici minuti di pellicola e Ridley Scott passa con disinvoltura dal revisionismo darwinista e creazionista a un lontano futuro con tanto di ipertecnologica navicella spaziale e androidi (a proposito, Michael Fassbender sembra ormai poter affrontare qualsiasi ruolo gli venga proposto con una facilità disarmante). Quello che può apparire come un viaggio alla ricerca della conoscenza si rivela esclusivamente come un grogiuolo di speranze, opportunità e guadagno. A finanziare il tutto troviamo un oleogrammatico Guy Pearce nei panni dell’anziano, alla ricerca della vita eterna, Peter Weyland, un nome che richiama, inevitabilmente, alla fortunata saga di “Alien”. Una premessa, doverosa oltretutto: Prometheus può velatamente essere considerato un prequel di “Alien” ma appare già dotato di vita propria e pronto ad esplodere in un fragoroso e remunerativo franchise. Scott non riesce però, nonostante un utilizzo della tecnologia a dir poco egregio, a ricreare quelle atmosfere del suo capolavoro di fine anni settanta e lascia molti punti – troppi – in sospeso che sarebbero sì giustificati in caso di un eventuale sequel ma che lasciano comunque degli interrogativi aperti sulle reali intenzioni del regista e dello sceneggiatore, il talentuoso Damon Lindelof (“Lost”).

Commenti finali

L’origine della vita e la nascita degli xenomorfi nello stesso film impongono una lettura talmente ampia della storia da “permettere” una messa in scena a tratti lacunosa, dove Ridley Scott si dimostra un regista  impeccabile ma creativamente un po’ scarico, nonostante un inizio sublime con la rappresentazione di una landa desolata in contrapposizione con la navicella aliena sullo sfondo. Un esercizio stilistico che se non ti chiami Kubrick rischi miseramente di fallire.

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