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Psycho: la recensione

Uno dei più grandi capolavori del cinema, tra le opere più riuscite ed amate di Alfred Hitchcock, un vero e proprio fenomeno di culto che ha generato uno spin off (“Il Motel della paura”), ben tre sequel e un remake shot-for-shot, diretto da Gus Van Sant nel 1998. Cinquantadue anni dopo “Psycho” ritorna al cinema, grazie alla Universal che ha organizzato una proiezione alla Casa del Cinema di Roma. Rimasterizzato, con un bianco e nero pregevole e in lingua originale, il film di Sir Alfred non soffre l’età riuscendo a spaventare ancora il pubblico presente come se il tempo magicamente si fosse fermato.

Il film

Phoenix, Arizona, la segretaria Marion Crane viene incaricata di consegnare presso una banca una forte somma di denaro (40.000 dollari) ma ingolosita infila il malloppo nella valigia e si mette in viaggio dove sarà sorpresa da un temporale notturno che le consiglierà di sostare presso il Bates Motel, un sinistro ritrovo un tempo popolato dai viaggiatori stanchi, ormai disabitato in seguito alla costruzione di una nuova strada statale. La struttura è gestita da Norman Bates un giovane dai modi affabili, con l’hobby della tassidermia, che convive con la anziana e invalida madre. Norman si mostra assai gentile con Marion, preparandole la cena e scusandosi per i modi autoritari della madre. Non sarà sufficiente poiché la notte la signora Bates si reca nella stanza di Marion e furiosamente l’accoltella a morte, lasciandola esanine sotto l’acqua scrosciante.

Psycho - Janet Leigh

Giudizio sul film

Nella ormai celebre conversazione con Truffaut, Sir Alfred Hitchcock considera “Psycho” uno straordinario esempio di gestione del linguaggio cinematografico. La superbia – giustificata – del regista inglese è visibile in ogni sequenza del film, a cominciare dai titoli di coda dove è visibile una certa predisposizione a giocare con le linee dello schermo ricercando particolarissime simmetrie orizzontali e verticali. L’abuso di soggettive, semisoggettive, sguardi in macchina, primi piani e grandangoli rendono la pellicola uno dei più eccelsi esercizi di stile del regista britannico. Esemplificativa la celebre sequenza della doccia con la sapiente alternanza tra Point Of View Shot del carnefice e della vittima o gli sguardi senza soggetto che sembrano scambiarsi Lila, sorella di Marion, con casa Bates. Proprio quella magione ora attrazione turistica negli Universal Studios di Hollywood.

Psycho - Anthony Perkis

Sono diversi i temi disseminati da Hitchcock nella pellicola, a volte (come la fuga e il furto) semplici espedienti narrativi (i classici MacGuffin hitchockiani) atti a coinvolgere lo spettatore, richiedendo uno sforzo nell’attenzione ai particolari. Non ingannandolo, però, poiché il tutto è funzionale a mettere in moto la storia, quella vera, in cui  la connotazione psicologica è evidente.

Una particolarità di “Psycho” risiede nella difficoltà di empatia per lo spettatore che si ritrova a condividere la trama con personaggi dalla dubbia moralità. La stessa Marion, all’apparenza vittima, è una ladra, ha sottratto del denaro e – nella versione di Mamma Bates – cerca di sedurre un timido giovane. Lo stesso investigatore privato ingaggiato per fare chiarezza sulla scomparsa di Marion appare come un uomo mosso solo da puri interessi economici.

Psycho - Una scena dal film

Commenti finali e Curiosità

“Psycho” ci regala una delle scene più agghiaccianti della storia del cinema, con Marion aggredita sotto la doccia. La sequenza nasce da uno storyboard di Saul Bass e per la realizzazione, di circa 45 secondi, sono occorsi ben sette giorni di lavorazione, ventidue colpi di coltello e un montaggio veloce e serrato reso terrificante dalle note dei violini realizzate da Bernard Herrmann che per l’occasione si affidò completamente a una selezione di archi escludendo strumenti a fiato. Inizialmente Hitchcock avrebbe voluto girare la scena senza ausilio musicale ma fu proprio il compositore newyorkese a fargli cambiare idea.

Psycho - locandina

Il sangue – in bianco e nero – che vediamo scorrere dal corpo di Marion non è altro che cioccolato liquido mentre, sembra, che Hitchcock pretese che l’acqua della doccia diventasse improvvisamente gelida per scaturire una reazione naturale in Janet Leigh. Il film ebbe diversi problemi con la censura (anche per questo il regista decise di virare sul bianco e nero) e fu accompagnato da una intelligente campagna promozionale in cui si avvisava il pubblico di arrivare in sala senza ritardi. Ricordiamo che negli anni sessanta era pratica diffusa arrivare al cinema in ritardo e magari recuperare il minutaggio nella proiezione successiva. Hitchcock, insieme alla casa di distribuzione, ha invece “obbligato” il pubblico e gli addetti ai lavori (gestori e cassieri del cinema) a rispettare l’orario del film. Lo stesso Sir Alfred compare in un cameo all’inizio del film: è l’uomo con il cappello da cowboy fuori dall’ufficio di Marion. La collega della Crane è invece Pat Hitchcock, figlia del regista.

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