Akiko (Rin Takanashi) è una giovane ragazza, debole e insicura, che per pagarsi gli studi alla facoltà di sociologia a Tokyo si prostituisce. Una sera, Akiko viene contattata da un anziano professore universitario e traduttore, Takashi (Tadashi Okuno), in cerca di compagnia. Akiko è pronta ad offrire il proprio corpo, ma il professore sembra interessato ad un altro tipo di intimità. Takashi, intimorito e attratto in egual misura dalla splendida e giovanissima ragazza, prova a conoscerla meglio, chiede informazioni sulla sua vita, sulle sue ambizioni e sui suoi progetti futuri. Akiko si infila nel letto del professore, pronta a offrire i suoi abituali servigi, ma si addormenta e la notte passa senza alcun contatto fisico tra i due.
Il mattino seguente Takashi accompagna Akiko in università con la sua auto: qui i due trovano Noriaki (Ryo Kase), il gelosissimo fidanzato di lei. Takashi viene in soccorso della ragazza e si finge suo nonno, riuscendo così a placare Noriaki, furioso in quanto da ore non ha notizie di Akiko.
Con “Qualcuno da amare” il regista iraniano Abbas Kiarostami riflette sull’ambiguità delle apparenze, declinate in molteplici modalità. La sceneggiatura di “Qualcuno da amare” è infatti sorretta da una fitta rete di scambi di identità, di mistificazioni, di assegnazioni di ruoli e di menzogne. Un sistema di inganni e falsificazioni della realtà, in cui ogni personaggio finge di essere ciò che non è, senza cercare di essere necessariamente migliore, ma semplicemente altro da sé.
Akiko si prostituisce, ma Noriaki non ne ha idea e la crede semplicemente infedele; la nonna di Akiko (arrivata a Tokyo dopo un lunghissimo viaggio) vorrebbe incontrare la nipote, rimasta agli occhi dell’anziana donna una fragile e dolce ragazzina, ma nei fatti una persona cinica e disincantata che abbandona la nonna alla stazione in una estenuante attesa; lo stesso professore si finge cliente abituale di prostitute, ma di fatto è solo in cerca di qualcuno con cui parlare e lenire la propria solitudine.
Ognuno costruisce e subisce un’identità fatta di apparenze sembra volerci dire Kiarostami con “Qualcuno da amare”. Il regista iraniano, però, non fa seguire alla sua impostazione teorica un’adeguato corrispettivo cinematografico, appesantendo quindi un racconto che finisce con l’essere troppo astratto e cerebrale per potere funzionare compiutamente.
“Qualcuno da amare” è un compiaciuto gioco manierista architettato sapientemente da Abbas Kiarostami con il preciso intento di solleticare e appagare il proprio ego autoriale, quasi senza curarsi del proprio pubblico, arroccato in un’idea di messa in scena filmica solipsistica e autoreferenziale.
Ad un certo punto del film, l’anziano protagonista guida la sua auto ripreso in piano sequenza, senza alcun commento sonoro; il professore si ferma ad un semaforo e si addormenta: una scena emblematica e beffarda, latore di un cinema datato, senile, compiaciuto e divertito dal proprio autismo.
“Qualcuno da amare” assume, infatti, verso il finale la dimensione dello sberleffo, del gioco, dell’esercizio di stile erudito ma assolutamente fine a se stesso e irritante: un elemento esterno della realtà arriva a ricordarci che tutto ciò cui stiamo assistendo è finzione e come tale non va presa sul serio. Difficile, quindi, prendere sul serio questo film e il suo autore, colpevoli di “regalarci” quasi due ore di urticante e soporifero nulla, spacciandolo per arte.
[starreview tpl=16]