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Quartet: recensione del film di Dustin Hoffman

La vita scorre tranquilla a Beecham House, residenza per musicisti e cantanti lirici in pensione, situata in un incantevole angolo nel cuore della campagna inglese. La routine dei residenti è movimentata dall’imminente galà organizzato dall’ex impresario Cedric Livingston (Michael Gambon) per celebrare il compleanno di Giuseppe Verdi. Gli ospiti iniziano ad organizzare i loro numeri per lo show: i meno interessati all’evento sembrano essere la contralto Cecily “Cissy” Robson (Pauline Collins), impegnata a riascoltare infinite volte una vecchia registrazione di Rigoletto; il baritono Wilfred “Wilf” Bond (Billy Connolly), un don Giovanni ancora in piena attività e il tenore Reginald “Reggie” Paget (Tom Courtenay) che tiene lezioni ai ragazzi delle scuole sulla musica classica, sulla passionalità che l’Opera trasmette e permettere di esprimere, sottolineando anche divergenze e improbabili similitudini con la musica rap.

La quotidianità dei tre e della casa di riposo è scossa dall’arrivo di una nuova ospite: l’ex soprano Jean Horton (Maggie Smith), celeberrima diva, nonché ex moglie di Reggie. L’arrivo di Jean spinge Cissy e Wilf ad esibirsi al galà, scegliendo come numero il Quartetto dal Rigoletto di Verdi. Restano però da superare i dissapori non ancora sopiti tra Reggie e Jean e, soprattutto, la ritrosia della donna ad esibirsi in pubblico dopo molti anni di silenzio.

Esordio alla regia per Dustin Hoffman, evento al Toronto Film Festival e pellicola d’apertura al Torino Film Festival, “Quartet” è un film leggiadro e frizzante, appassionato e divertente.

I temi alla base di “Quartet” sono abbastanza noti e (ab)usati (dall’arte come strumento di riscoperta della vita alle tensioni e all’angosce dell’invecchiamento, passando dalla passione che anima l’universo della musica), eppure Dustin Hoffman e gli sceneggiatori riescono a donare freschezza e vitalità al progetto.

Dustin Hoffman, debutto alla regia con Quartet
Dustin Hoffman, debutto alla regia con Quartet

La matrice teatrale di partenza è evidente (la commedia di Ronald Harwood che cura anche la sceneggiatura del film) e viene valorizzata a pieno: la sceneggiatura di “Quartet” è costruita come una perfetta piecè sofisticata, dove battute memorabili, frecciate e grandi performance attoriali fioccano. Un merito, ma anche un limite di un film che troppo spesso si accontenta del proprio status di simpatia e delizia, senza mai spiccare davvero il volo e diventare qualcosa di più di un piacevole intrattenimento, intelligente ma anche un po’ fine a se stesso.

La regia di Dustin Hoffman è essenziale, classicamente invisibile: un’illustrazione di pregevole fattura, con un gusto della messa in scena, come detto, prettamente teatrale. Cinematograficamente parlando, infatti, “Quartet” è piuttosto esile e denota qualche pecca da opera prima sicuramente perdonabile (come alcune sottotrame accennate e dimenticate o piccole concessioni formali rivedibili): Hoffman delega la forza del suo film alla scrittura sopraffina di Harwood e a quattro protagonisti divertiti e in formissima.

Maggie Smith è l’usato sicuro inossidabile: carismatica e ammaliante anche con una semplice inarcata di sopracciglio. Tom Courtenay, Billy Connoly e Pauline Collins da apprezzati comprimari si ritrovano catapultati al centro della scena e regalano prestazioni attoriali solidissime, capaci in eguale misura di divertire e emozionare.

I quattro protagonisti di Quartet
I quattro protagonisti di Quartet

Un plauso lo meritano senz’altro anche i numerosi non protagonisti: dagli attori Michael Gambon e Sheridan Smith alle personalità della tradizione operistica inglese che si sono prestati al ruolo di interpreti, come il soprano Dame Gwyneth Jones (Anne Langley, la storica rivale di Jean).

Una briosa commedia per gli amanti della musica e del buon teatro.

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