Luciano è un pescivendolo napoletano che arrotonda come può il suo scarso stipendio. Spinto dai figli a fare dei provini per il Grande Fratello, Luciano, inizialmente riluttante, si lascia coinvolgere dalla prospettiva di andare in televisione e diventare famoso.
Dopo aver superato le prime due selezioni, le speranze di Luciano crescono e l’ingresso nella casa del Grande Fratello diventa una vera e propria missione: un obiettivo da perseguire ad ogni costo e l’occasione della vita per risolvere tutti i problemi.
Presentato al Festival di Cannes di quest’anno, dove ha vinto il Gran Premio della Giuria, arriva finalmente nelle nostre sale “Reality”, il nuovo film di Matteo Garrone a quattro anni di distanza dal successo di “Gomorra”.
Sempre in bilico fra la farsa e la tragedia, fra la fiaba e un racconto dell’orrore, “Reality” conferma lo straordinario talento visivo di Garrone, uno dei pochi registi italiani a credere nella forza delle immagini e costruire i suoi film sulle solide basi di un formalismo mai fine a sé stesso e sorprendente per inventiva.
Fin dalla prima, straordinaria, sequenza, Garrone scopre le sue carte, ponendo la sua sontuosa e pirotecnica regia al servizio di un racconto dove la contaminazione fra realtà e apparenza è costante e la distinzione netta tra le due dimensioni va ad affievolirsi progressivamente.
In apertura la macchina da presa si muove sinuosa a seguire una fatiscente carrozza trainata da cavalli che guidano una coppia di sposi verso il loro ricevimento di nozze, ostentatamente sfarzoso, ai limiti del pacchiano. La carrozza si muove tra le strade di una Napoli sporca, caotica, decadente. All’esterno del castello dove si svolge la cerimonia nuziale pare regnare solo miseria.
In questa prima sequenza c’è tutto, o quasi, “Reality”: il racconto di un paese e di un’epoca in cui la trasfigurazione del reale ha il sopravvento sulla realtà “vera” e una percezione distorta dell’esistenza pare l’unica possibile.
Malgrado i rimandi al Grande Fratello, in “Reality” la dimensione del reality show è del tutto secondaria rispetto al discorso più ampio affrontato da Garrone.
“Reality” è il racconto di un’umanità affranta e disperata, bramosa di un possibile riscatto semplicemente “apparendo” diversa da sé, cercando un’imitazione di vita che possa essere soluzione (non importa se temporanea o effimera) dei mali e dei problemi della quotidianità.
Garrone va oltre e il suo “Reality” ci mostra gli effetti deleteri di un’ambizione che diventa ossessione e di una incapacità di distinguere tra concretezza e immaginazione, tra la realtà e la sua rappresentazione.
“Reality” è un quadro funereo di una società vacua e volgare, abbruttita e imbarbarita da amoralità diffusa (Luciano, prima di accettare di partecipare alle selezioni del reality, gestisce delle truffe commerciali), spinta da ambizioni discutibili e frivole (il mito di Luciano e dei suoi figli è Enzo, un ex concorrente del Grande Fratello, star con l’unico merito di aver resistito più di cento giorni nella casa), incapace di guardare al domani concretamente e in grado di darsi solo risposte facili e, alla lunga, inconsistenti.
Garrone filma questo desolante campionario umano e sociale con una geniale regia, sempre creativa, che privilegia i piani-sequenza e le riprese lunghe, preferendo i movimenti di macchina sinuosi a tagli di montaggio frammentari.
Il virtuosismo di Garrone non si risolve mai in vuoto esercizio di stile, ma è sempre funzionale al racconto, valorizzando le piccole sfumature, i dettagli e le interpretazioni di un cast di volti poco noti. Un plauso particolare va al protagonista Aniello Arena, strepitosa maschera tragica e stralunata, capace di dare forza e incisività ad un personaggio, a suo modo, indimenticabile.
Peccato per qualche sottolineatura di troppo e per qualche scelta di sceneggiatura che rischia di rallentare il ritmo e appesantire la fluidità narrativa di “Reality”.
Piccoli difetti per un grandissimo film.
[starreview tpl=16]