Un capolavoro, un cult, un film che tutti conoscono. Eppure fa sorridere dire (anzi scrivere) che sia un “classico”, poiché con “Citizen Kane” nasce convenzionalmente il cinema Moderno. Orson Welles è infatti direttamente influenzato dalle pratiche di registi come Jean Renoir e Roberto Rossellini, decisamente insolite rispetto ai canoni dello stile classico hollywoodiano; l’opera di Welles si dimostra subito rivoluzionaria e diventa un caso mediatico già nel 1941, anno dell’uscita nelle sale. Impossibile riassumere le caratteristiche della modernità cinematografica, meglio limitarsi a descrivere in che modo il film di Welles abbraccia questa rivoluzione stilistica: anche se in modo un pò accademico, si può sintetizzare l’estetica di “Citizen Kane” attorno alle cifre stilistiche del piano-sequenza e della profondità di campo. Combinando le due tecniche, si ottiene maggiore “realismo” ma soprattutto si propone una valida alternativa al dominante linguaggio cinematografico classico, proprio della cinematografia statunitense.
L’opera prima del geniale e giovanissimo Welles, scritta diretta e interpretata da lui stesso a 25 anni appena, narra la storia di Charles Foster Kane, magnate della stampa: il “quarto potere”. Kane è però un uomo solo che allontana tutti, anche sua moglie, e si ritrova a vivere completamente solo nella sua enorme e sfarzosa residenza, che ha chiamato Xanadù, dove morirà in solitudine. La genesi dell’inasprimento del carattere di Kane è indubbiamente riconducibile all’allontanamento forzato dai genitori e della casa in cui è nato: il piccolo Charles è ereditario di una grande fortuna ma i suoi genitori non sanno come amministrarla e scelgono di affidare il figlio alla custodia di un abile uomo d’affari. Le conseguenze di questa scelta saranno disastrose per il protagonista che imposterà la sua vita sul potere e sul profitto, concependo l’amore come una forma di possesso.
“Citizen Kane” è la storia di un uomo americano che, con grande volontà e un forte aiuto finanziario, ha costruito un impero sconfinato; il sogno americano dunque, ma anche un racconto sul potere in generale e più nello specifico sul potere della carta stampata, da sempre simbolo della persuasione delle grandi masse. Se con i giornali, e ancor più con il mezzo televisivo, l’opinione pubblica può essere formata e indirizzata, Orson Welles cerca di avvertire in qualche modo lo spettatore degli anni ’40 perché, con il passare dei decenni, il fenomeno andrà peggiorando. Niente di più vero.
“Quarto Potere” si dimostra decisamente moderno e profetico sia nel contenuto che nella forma. Una delle prime scene ci sarà utile a capire bene quale siano le grandi innovazioni portate da Welles: protagonisti della vicenda sono i genitori di Charles che firmano le carte per l’affido del piccolo; girata in piano-sequenza, la scena si apre con il bambino che gioca in cortile, la macchina da presa fa un lungo movimento all’indietro, attraverso la finestra finisce in casa dove la scena si sta svolgendo. Il percorso della cinepresa termina al tavolo attorno al quale i personaggi sono seduti. Grazie ad un’accurata composizione del fotogramma e alla profondità di campo (caratteristica della lente fotografica che permette di vedere nitidi tutti i piani dell’immagine, dal primo allo sfondo), il regista ci mostra i tre adulti intorno al tavolo e il piccolo sullo sfondo, letteralmente inquadrato nella finestra, che si muove ignaro di tutto. A livello teorico e concettuale, si tratta di una svolta nella ricerca del così detto “realismo”: la vita di ognuno si svolge nello stesso momento, il cinema di montaggio può mostrarci solo “una vita alla volta”; il cinema Moderno muove dunque i primi passi verso una rappresentazione più fedele del tempo e della realtà stessa. Il cammino è lungo e a tratti utopistico ma i primi passi compiuti dalla modernità cinematografica sono più che validi.
Orson Welles rivendica l’importanza dell’autorialità e della figura del regista come ideatore dell’opera: il cinema hollywoodiano classico punta ad un linguaggio universale e unificato in cui non c’è spazio per l’impronta del regista; questo stile omologato viene totalmente messo in discussione dal cinema di Welles e finalmente, come insegnano i maestri italiani e francesi, lo stile dell’autore riacquista il suo valore capitale.
Voto:
[starreview tpl=16]