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Resident Evil” del regista Paul W. S. Anderson (“I tre moschettieri“, “Resident evil: retribution“) risale ormai al 2002.

All’epoca non era raro che si scegliesse dalla vastissima compagine di storie videoludiche (nel caso qualcuno non ne fosse informato, “Resident evil” nasceva come fortunatissima serie di videogiochi per console) e sebbene i risultati non siano sempre stati fantastici o artisticamente rilevanti, il box office ha quasi sempre premiato le aspettative degli investitori.

La locandina di Resident evil

La pellicola in questione ha dato inizio ad una serie che si è in gran parte affrancata da quella che era la storia (se così la si vuole definire) della saga videoludica, creando un universo narrativo che nel corso dei vari episodi ha avuto alterni risultati. La protagonista della storia, così come anche nei capitoli successivi della serie, è Alice (Milla Jovovich) una donna forte e risoluta che ricorda solo frammenti del passato e che si trova ad affrontare un incubo terrificante: orde di zombie e di altre mostruosità in una base sotterranea della Umbrella Corporation. Più avanti nel film si scoprirà che Alice lavorava per la stessa azienda, incapace di scrupoli verso i propri impiegati, spietatamente sacrificati ai suoi deliranti piani. Piani a cui Alice si opporrà con ogni mezzo.

Resident evil sposa la tradizione del cinema su zombie e morti viventi, con un’estetica inusuale, quella fantascientifica dei laboratori asettici e dei contenitori in vetro e acciaio dalle forme poco ortodosse, ma anche con una meccanica più claustrofobica (il film si svolge al 99,9% sottoterra) rispetto al solito. Il gruppo dei protagonisti si arricchisce quasi subito di un manipolo di militari che ha il compito di riattivare la struttura sotterranea, in particolare il computer centrale, che ha sbarrato le porte per impedire al virus T, in grado di trasformare in morti viventi gli umani, di diffondersi. Nel cast dei personaggi, quasi tutti inevitabilmente destinati ad essere orribilmente massacrati dagli zombie, dalle trappole laser, dai cani mutati e da un paio di mostri dalla lunga lingua e dal cervello esposto, possiamo annoverare Michelle Rodriguez, Eric Mabius, James Purefoy, Colin Salmon e Ryan McCluskey.

Si può notare una certa critica sociale (anche se svogliata e poco convincente) nei confronti delle multinazionali così assolutamente votate al profitto e così assolutamente disinteressate ai danni che possono provocare, ma in generale il film ha diviso sia il pubblico che la critica.

Gli spettatori all’epoca più giovani, ignari della grande tradizione di film sui morti viventi (genere al quale i cinefili sono affezionatissimi), trovarono interessante e divertente l’adrenalinico mix di azione e mostri messo in campo al ritmo dei pezzi di Marilyn Manson e le musiche di Marco Beltrami, mentre gli appassionati di cinema più smaliziati lo considerarono poco più che una rumorosa trovata commerciale. Molti critici si esposero definendo il film un’evoluzione del genere, mentre altri risposero che non valesse nemmeno i soldi del biglietto.

Detto ciò va ricordato che “Resident evil” uscì in quel periodo in cui si iniziava ad ammettere la possibilità che un film tratto da un videogioco (così come anche da un fumetto), potesse essere realizzato anche in maniera diversa dal soggetto canonico (storia più semplice e lineare possibile, target commerciale identico a quello del media di partenza etc.), tanto da poter supporre di donare al personaggio una nobiltà cinematografica vera e propria, cosa che fino ad allora sembrava assolutamente fuori discussione. Se quindi possiamo ravvisare un merito in questo primo “Resident evil” è quello di aver contribuito a creare un vero avanzamento culturale, senza il quale, sarebbero stati impossibili tanto “300” quanto “Sin City” e molti altri esempi di film tratti da altri media, in specie l’immensa quantità di nuovi film di super eroi degli ultimi anni.

Voto:

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Andrea Lupia
Andrea Lupia
Scrittore, disegnatore, attore e poeta lo-fi.
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