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Rod Stewart: “Time”. La recensione

Notizia da prima pagina di qualunque giornale musicale: Rod Stewart è tornato con “Time“, un disco di inediti (creati insieme al fido co-produttore Kevin Savigar e a tanti altri). Proseguo della notizia: è anche un bel disco. Già questo lavoro era stato annunciato dallo stesso cantante come uno dei dischi più personali in carriera (l’ultimo disco di inediti di Rod fu “Human” del 2002) dopo tutto il susseguirsi della serie quasi infinita di rifacimenti tra i cinque “The Great American Songbook” e tanti album di cover (in questo disco c’è una sola cover, la sentitissima “Picture in a frame” di Tom Waits). Forse parte del merito di questo ritorno va da ricercarsi nella sua autobiografia del 2012, che deve avergli fatto tornare la voglia di scrivere.

E quindi, dopo ben 68 anni di vita e tantissimi anni di rock fuori e dentro i palchi di tutto il mondo, Rod si lascia andare ai ricordi, anche intimi, con questo “Time“, dove si parla di primi amori, matrimoni falliti, donne amate, figli propri e adottati, la sua relazione con il padre, con una scrittura musicale che in alcuni punti è quasi autoalimentante se non autocelebrativa. Mi spiego meglio.

Musicalmente, Rod Stewart è andato a pescare nel proprio passato, un tesoro ricchissimo di rock e non solo, ed ha tirato fuori quello che lo faceva sentire più a suo agio in questa sua cavalcata nel suo tempo, dal rock classico a punte di disco e blues sporco, il tutto corroborato dalla sua voce, inconfondibile anche se ormai segnata dal tempo e senza più una certa nota roca che la rendeva a dir poco unica. Ma poco male, se nel disco troviamo uno Stewart in forma smagliante. E ce le dimostrano le prime note di “She makes me happy“, un rock classico dalle note celtiche così come la seguente “Can’t stop me now“, a dir poco celebrativa e sempre tendente alla giga irlandese. Basta però un tocco, un soffio ed entriamo nelle atmosfere di “It’s over“, segnate dalla celestia e da una tristezza che conosce bene solo chi sa che qualcosa è finito.

Rod Stewart - "Time" - Artwork
Rod Stewart – “Time” – Artwork

Il disco si compone anche di ballate come “Brighton Beach“, da notte passata a guardare le stelle, di pezzi più rockettari come “Beautiful morning” e “Finest woman” (che ricorda in qualche modo “Start me up” degli Stones) e di ritorni alla musica più disco e dura come “Sexual religion“, con la lezione di “Do Ya Think I’m Sexy? ” ben stampata in mente, senza dimenticare la splendida cover di “Picture in a frame” di Tom Waits e la title-track, intrisa di nostalgia, di organo, di cori magnifici e di chitarra slide. La versione deluxe ha altre tre tracce: “Legless” e le cover di Bonnie Raitt “Love Has No Pride” e dello standard rock “Corrina Corrina“.

Il disco prosegue nel filone del pop-rock grazie ad un accurato lavoro di ripescaggio da parte di Stewart nel suo passato e ha anche un paio di picchi (in “Make Love To Me Tonight“, la canzone più convincente del disco con il suo scottish folk a base di violino e slide e nella finale “Pure Love“, una piano ballad delicata e leggera piena di arrangiamenti orchestrali) e il tutto viene accompagnato dalla voce di Rod, che ha perso certamente la sua timbrica particolare, così graffiata ed efficace (complice anche un’operazione alla gola) ma non certo lo stile e la tecnica.

Questo album, nel suo complesso, offre il ritratto di un vecchio rocker che ha passato i 70 e che si è guardato indietro per vedere se era ancora capace di fare qualcosa come si deve. Probabilmente questo è un primo passo per tornare in corsa. O forse no. Certo è che alla sua età è ancora in forma smagliante. E che qualcosa ce l’ha ancora da dire, anzi da cantare.

 

IL NOSTRO PARERE IN BREVE

Questo album, nel suo complesso, offre il ritratto di un vecchio rocker che ha passato i 70 e che si è guardato indietro per vedere se era ancora capace di fare qualcosa come si deve

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