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Roger Daltrey fa rivivere “Tommy” al Teatro Comunale di Firenze

Partiamo dal principio: tutto è iniziato negli anni Sessanta, quando Pete Townshend e Roger Daltrey non sapevano ancora che sarebbero diventati uno dei gruppi più famosi e amati al mondo. Nel 1969 partorivano la rock opera “Tommy“, un vero e proprio cult della musica, impossibile non conoscerlo.

Da allora di anni ne sono passati ma Roger Daltrey, pur senza il suo amico accanto, ha deciso di fare rivivere l’opera, emozionando il suo pubblico di tutte le età con un tour che lo ritrova senza la forma di un tempo, ma con tanta voglia di divertirsi e far divertire. Siamo andati a vederlo a Firenze, al Teatro Comunale, forse la struttura meno adatta per un evento del genere: ne abbiamo avuto le dimostrazioni concrete pochi minuti dopo l’inizio del concerto, quando un blackout ha interrotto l’esibizione. Il cantante ha cercato di sdrammatizzare e in circa mezz’ora il fastidioso problema è stato risolto, il pubblico annoiato però ha fatto presto a riprendersi.

Roger Daltrey con una nuova formazione

Bisogna premettere che non stiamo parlando degli Who, ma solamente di Roger Daltrey. Pete Townshend non se l’è sentita di affrontare un nuovo tour, ma il compagno è piuttosto chiaro: senza Townshend non è la stessa cosa e lo sa bene, ma non è tempo di fare confronti e critiche, Daltrey vuole divertirsi, pur consapevole del fatto che la sua voce non è più quella di una volta. Inoltre ha avuto qualche problema, ed esibirsi di continuo non è nemmeno un toccasana per le sue corde vocali. Il pubblico apprezza l’onestà ed anche lo spettacolo offerto con una band completamente diversa, che vede protagonista anche Simon Townshend, talentuoso fratello di Pete che negli Who si occupava di chitarra e controvoci e che in diverse situazioni, qui, fa anche da protagonista. All’altra chitarra troviamo Frank Simes e i meno attempati Scott Deavours, un animale da palco alla sua batteria (non sbaglia un colpo), John Button al basso, con la sua aria da ragazzino, e Loren Gold alle tastiere. La formazione funziona benissimo, lo dimostra l’accoglienza del pubblico stesso, che tra gli applausi, sui pezzi cult non riesce a mantenere la compostezza prevista in un luogo come il teatro, si alza e corre verso il palco. Anche se la forma non è più quella di un tempo, Roger Daltrey può approfittare dei sentimenti nostalgici degli spettatori, in gran parte non più giovanissimi, che con occhio lucido ripensano a Woodstock e ai momenti più belli della musica, l’era d’oro del rock.

Roger Daltrey | © Melodicamente

Tommy: la rock opera del mago del flipper

Ovviamente il tema principale della serata è “Tommy“, l’album del 1969 che ha ottenuto un successo planetario, opera rock dalla quale è stato tratto anche il film di Ken Russell nel 1975. Immagini psichedeliche scorrono sullo schermo, anche se poco influenti, di fatto, ai fini dello spettacolo: con “Ouverture” inizia il concerto, Roger Daltrey vestito di nero sale sul palco con i suoi tamburelli con “It’s a boy” e “1921”, proprio all’inizio di “Amazing Journey“, mentre fa ruotare il suo microfono in aria come solo lui sa fare, tutto si ferma. Passa qualche istante prima di capire cosa sia veramente successo: tra l’effetto delle luci e il trasporto della musica, non ci rendiamo subito conto del blackout che costringe la band a fermarsi per un po’, fin quando il problema non viene risolto. Roger Daltrey cerca di sdrammatizzare e sparisce dal palco, per poi farvi ritorno dichiarando allegramente “Italy, I love you“. Gli imprevisti sono di casa, il cantante a fine concerto ne approfitta per consigliare un nuovo impianto elettrico, la struttura del teatro è forse troppo vecchia per supportare il tutto, ma per fortuna ogni cosa si conclude positivamente. Daltrey e soci ripartono dal momento esatto in cui tutto si è interrotto e continuano con “Sparks”, “Eyesight to the blind”, “Christmas”, “Cousin Kevin”, “The Acid Queen”, “Do you think it’s all right?” e “Fiddle about”, ma il pubblico si scalda davvero sulle note di “Pinball Wizard“, si susseguono i pezzi che hanno segnato la storia della musica e le vicende di Tommy, ragazzo muto, sordo e cieco, campione di flipper che tanto fa emozionare gli spettatori.

Concerto di Roger Daltrey a Firenze | © Melodicamente

“There’s a doctor” e “Go to the mirror”, “Tommy can you hear me?”, “Smash the mirror”, “Sensation”, “I’m free”, “Miracle cure”, “Sally Simpson“, i brani si susseguono senza sosta, la debole voce di Roger Daltrey arriva a fatica alle note più alte, ma a risolvere il problema ci pensa Simon Townshend che, oltre ad essere un abile chitarrista, dimostra buonissime doti vocali, trasformandosi in qualcosa di più che una controvoce. Con il suo zuccotto in testa, che fa un po’ The Edge degli U2, è parte fondamentale dell’intero spettacolo.

Simon Townshend | © Melodicamente

“Welcome”, “Tommy’s Holiday Camp”, “We’re not gonna take it” e “See me, feel me / Listening to you”, quello che è il tema ricorrente della storia di Tommy. Stiamo per arrivare a quella che forse è la parte più entusiasmante di tutto il concerto, un concentrato dei brani più conosciuti degli Who ed un pubblico che fa sempre più fatica a rimanere costretto sulle poltrone. Ad “I can see for miles” segue uno dei brani più noti ed anche più entusiasmanti, “The kids are all right“, al quale segue l’emozionante “Behind blue eyes“, disturbata da qualche grido di troppo da parte del pubblico. E’ il turno di “Pictures of Lily” e poi la scena è tutta per Simon Townshend, che si esibisce con “The Way it is”. A “Days of light” segue “Who are you” con “My generation blues“, ormai il pubblico è sotto il palco, bassissimo, che permette di essere a stretto contatto con la band. Quello che più si nota, è che Roger Daltrey davvero sembra divertirsi e in questi momenti sembra che il tempo non sia mai passato. Tra gli spettatori ci sono molti giovanissimi, accompagnati o forse, meglio, accompagnatori di genitori emozionati che hanno trasmesso loro l’amore per la musica degli Who: dopo “Young man blues” tocca all’attesissima “Baba O’Riley“, uno dei pezzi più famosi del gruppo, seguita da “Without your love”, che Roger vuole dedicare proprio ai suoi fan: “Senza di voi, non sarei potuto essere quello che sono diventato“, spiega. Ancora un ultimo brano, “Naked eye” il concerto si chiude senza bis. Il pubblico acclama la band, ma Daltrey spiega di essere vecchio per certe “stronzate” e di aver dato in pasto agli spettatori tutta la sua energia, insomma una sorta di “prendete quel che potete”, ma una volta abbandonato il palco, le luci si accendono e la speranza di un ritorno per qualche altro pezzo svanisce.

Restano invece gli occhi trasognati del pubblico, che accoglie con grandi applausi l’inchino dei membri della band e che, sognando tempi ormai andati, ha rivissuto con un tuffo nel passato una delle epoche migliori del rock, comodamente seduto su poltrone di velluto, lontano anni e anni dall’atmosfera sudaticcia e visionaria di quella Woodstock, senza più il cantante riccioluto con la camicia a frange, ma un uomo ormai invecchiato che non vuole rinunciare alla sua più grande passione.

 

 

 

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