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Roger Waters, l’antologia “The Wall” all’Olimpico di Roma

Roger Waters l’antologia “The Wall” lo Stadio Olimpico di Roma e una platea di oltre 60.000 persone. Generazioni a confronto, generazioni che si scontrano e che si uniscono, generazioni vittime dell’uomo – porco. Graffiti, fuochi d’artificio, messaggi, trincee, flashback, scenografia colossale coadiuvata dal muro (del suono), aeroplani, un maiale che fluttua a mezz’aria, immagini evocative di un’epoca che continua a mietere vittime. Un’epoca in cui c’è bisogno di un esercito, sì, ma per uscire dal muro. Ce lo dimostra il giovane Pink che si è costruito quel muro, ma non ne uscirà da solo.

“Questo spettacolo lo dedichiamo a tutte le vittime colpite dal terrorismo di Stato, per un sentimento di giustizia e di verità”.

Empatia. Psichedelia. Tragicità. Realtà. Rabbia. Emozioni. Musica. Storia.

Roger Waters - "The Wall", Roma - Ph. © A. Moraca
Roger Waters – “The Wall”, Roma – Ph. © A. Moraca

Roger Waters non è un genio: è piacevolmente sensibile! Quella sensibilità che gli permette tutt’ora di portare in giro per il mondo uno show epico e mastodontico allo stesso tempo, di affrontare quel dissidio interno quale fu la perdita prematura del padre e di cercarlo ora, adesso tramite l’opera “The Wall” che, sì, è frutto del suo ingegno, ma senza quel genio musicale di David Gilmour non avrebbe visto luce. Due atti e ventisei scene totali proprio come le migliori opere di Shakespeare, il muro prende vita e viene demolito dall’esercito del generale Waters che corre diritto all’inferno gridando “Us not them, No fucking way!”.

Atto I, Scene I – XIII

L’opera prende vita sulle note di “In the Flesh?” che già la grandezza si ammira, vuoi per la ragione che una mente umana è stata in grado di modellare un’isola di rabbia e consapevolezza e disillusione in un universo che non ne vuole proprio sapere di mostrarci tutto ciò a cosa ci porterà. Il giovane Pink, invece, lo sa bene a tal punto che ci mostra la sua metamorfosi, quella metamorfosi che esula dalle vicende tipiche kafkiane: il giovane Pink diventerà il generale Waters un viaggio tra immagini e scambi di ruolo qua e la tra i “mattoni nel muro” passando per “i giorni più felici della nostra esistenza”, quelli dell’eterno dissidio, dell’angoscia, della derisione e dell’emerginazione  che solo le migliori scuole e i migliori insegnanti possono offrirci.

Roger Waters - "The Wall", Roma - Ph. © A. Moraca
Roger Waters – “The Wall”, Roma – Ph. © A. Moraca

“Mother do you think they’ll drop the bomb? Mother do you think they’ll like the song?” chitarra acustica e voce, mentre l’ologramma dell’autore è un marchio a fuoco, sul muro. I simboli, il marketing, il profitto, i marchi delle multinazionali e “Goodbye Blue Sky”. Consapevolezza e lacrime. E gli “spazi vuoti” da riempire, quel muro e una “giovane concupiscenza” fanno da eco ad “una trasformazione” che trova la sua esemplificazione in tre scene: “Don’t Leave Me Now”, “Anther Brick in the Wall, Part 3” e “Goodbye Cruel World”. Il muro del giovane Pink è completo. Ben edificato.

Atto II, Scene XIV – XXVI

“Hey You! Out there in the cold Getting lonely, getting old, can you feel me?”. Già, “Is There Anybody Out There?”. “Bring the Boys Back Home” lo chiedono i bambini strappati dal calore dei loro padri costretti a partire per la trincea, “nessuno in casa” neanche “Vera”. Nel mentre il giovane Pink sente scorrere nelle sue vene una cosapevolezza, l’unica della sua vita: è diventato “piacevolemente insensibile”. La metamorfosi segue il suo corso così come i prodromi della disillusione, dell’amarezza, dell’emerginazione, della rabbia diventano azione. “Lo show deve avere inizio”. Capolinea, dietrofront. Pink è il generale Waters, ora. “C’è qualche paranoico nello stadio questa sera?” chiede il generale. E’ tempo di andare dritti all’inferno per combattere i vermi.

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“L’esperimento” deve avere inizio, “l’attesa dei vermi” è terminata, ora, baby, siamo “fuori dal muro”.

“The Wall” è musica e sperimentazione, teatro e cinematografo, un trip psichedelico che ci spinge a comprendere le sfumture che quella puttana che chiamiamo realtà ci sbatte ogni giorno davanti agli occhi mentre lenta scorre la nostra indifferenza. Signori il tempo è adesso. Ora o mai più!

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