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Roma, il Baldini day. Ecco la triade giallorossa

Sarà pure che il calcio inglese è più sportivo e meno velenoso ma non può minimamente attaccare il fascino di imporsi nel nostro di calcio, dove tra dissapori e sospetti è più difficile lavorare bene ma che allo stesso tempo dà soddisfazione inequiparabili. E’ proprio questo che ha spinto Franco Baldini a lasciare la prestigiosa poltrona della nazionale inglese e tornare in giallorosso per dirigere l’ambizioso progetto americano. La mission è vincere ovviamente ma anche moralizzare cercando di imporre una cultura diversa ad una piazza notoriamente impaziente e passionale.

Franco Baldini | ©Paolo Bruno/Getty Images
Ieri è stato il Baldini day e il nuovo dg da buon oratore ha coinvolto giornalisti e curiosi in un racconto a tutto campo durato un ora e un quarto. Tanti i temi trattati, dal perchè di un ritorno alla Roma, fino al caso Totti, Dal rinnovo di De Rossi all’inevitabile battuta su Calciopoli e la famosa telefonata a Mazzini in cui annunciava il ribaltone definito ora puro cazzeggio. Vi riportiamo di seguito i passi più importanti tratti da il Tempo. Perché è tornato? «Ci penso da dieci mesi e ancora non ho la risposta. A DiBenedetto dissi che “non c’è ragione perché dovessi lasciare Londra e tornare in un posto dove c’è il tutti contro tutti”. E ho aggiunto: “ragion per cui le dirò di sì…”». È una rivincita? «No, da Roma ho avuto amore sconfinato dalla gente. Questo credito mi spaventa da morire. Sono sempre andato nei posti da neofita, adesso invece ho tutto da perdere». Il primo problema che ha trovato? «I biglietti omaggio. In America lo status symbol non è stare tribuna ma acquistare i biglietti migliori. Io darò un piccolo messaggio: quando vorrò invitare qualcuno, comprerò il biglietto. Mi farò tanti nuovi amici, mi mancava… ». Il rinnovo di De Rossi? «Ho parlato con Daniele ma il mio interlocutore sarà il suo procuratore Berti. Il ragazzo l’ho trovato sereno, maturo, bello. Gli ho detto: “se hai voglia di restare non importa quanto ci metteremo ma il contratto lo faremo”. E lui mi è sembrato orientato a voler trovare un accordo. Con le nostre finanze non riusciremmo a prendere uno forte come De Rossi». Questione Totti? «Ho detto che può giocare per altri 4-5 e ho specificato che però deve smettere di lasciarsi usare. Poi si è innescato il problema che Luis Enrique non lo faceva giocare. E allora si è iniziato a parlare di complotto. In quell’intervista definivo lui pigro, ma la pigrizia è quella di lasciarsi coinvolgere in certi aspetti. Lo voglio mettere nelle condizioni di essere normale, è questa la rivoluzione». In molti non l’hanno capita. «Potevo chiarire subito ma ho preferito che se ne parlasse perché ne valeva la pena. Mi sono preso insulti, fino a che non ho avuto modo di capire con lui: sono bastati cinque minuti. Totti è il più grande degli ultimi 30 anni, ma se gli chiedo di discutere sul suo ruolo se ne può parlare: le verità vengono fuori dal confronto». Che situazione ha trovato a Roma? «Un ambiente dove ci viene concesso straordinariamente del credito. Non me l’aspettavo». Le dispiace non ritrovare Moggi? «Non mi è mai mancato, lo vedo sempre in tribunale». Adesso anche la Roma ha una triade, come vi dividete i ruoli? «Fenucci fa il Giraudo, io Bettega perché ho i capelli grigi e per esclusione Sabatini fa il Moggi. Rivendico la scelta di portarli alla Roma, il mio compito sarà quello di coordinare il lavoro di tutti». È ancora un Don Chisciotte? «Temo di avere questo tipo di sindrome. Come dice Luis Enrique, citando Coelho, è più importante il cammino che la meta. Durante quel percorso, come canta Fiorella Mannoia, uno quando impara a sognare non smette più». Cosa porterebbe dall’Inghilterra? «Rooney, mi fa impazzire». Cosa ha fatto e non rifarebbe a Roma e cosa vorrebbe fare ora? «La stessa: mettere il bene della società al primo posto». Andrebbe a prendere un caffè con la Sensi? «Se si presentasse l’occasione, non solo vorrei ma dovrei. Lei rappresenta un’istituzione, io una società». Cosa può diventare la Roma? «Una squadra importante e un’idea di gioco. Potendo fare degli inserimenti giusti ogni anno penso possa essere la Roma che vogliamo». In quanto tempo? «Non voglio darmi una scadenza. Dipenderà molto da come finiamo questa stagione. Magari il prossimo anno si potrà dire a cosa aspiriamo». L’approccio con Luis Enrique? «Ne avevo avuto uno con Guardiola al quale ho detto: “se ti va di fare un salto a Roma e rimetterti in discussione…”. Mi ha risposto di aspettare qualche anno. Luis l’ho adorato subito come persona. È già un grande allenatore». E gli americani? «Mi hanno contattato a dicembre, il primo incontro con DiBenedetto l’ho avuto ad aprile, poi ho conosciuto Pallotta. C’è tanta italianità nel loro retropensiero, sono persone di business ma non vogliono fare speculazione: è la prima cosa che ho chiesto a Pallotta». La Roma avrà un suo stadio? «È un esigenza e sono sicuro che ce la faremo anche se non so quanto tempo ci vorrà». E se non invece non ce la fate, gli americani scappano? «Non posso escluderlo, ma si sta seguendo un’idea più che una scadenza. Anche io, che non ho ancora un contratto, se non dovessi riuscire nell’intento alzerò le mani».

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