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Seattle SuperSonics, la lunga strada verso il ritorno in NBA

Rivedremo mai i Seattle SuperSonics in giro sui parquet NBA? La risposta potrebbe essere (il condizionale è d’obbligo però in questi casi) positiva. E’ notizia delle ultime ore che il comune della città del Nord-Ovest del Pacifico ha approvato un piano finanziario per la costruzione di una nuova Arena che permetterebbe alla città di riavere una squadra di basket.

La storia dei Sonics è nota un pò a tutti, appassionati e non della NBA: fondati nel 1967 i gialloverdi scomparvero dalla grande pallacanestro americana nel 2008, quando il proprietario Clayton Bennett (che aveva acquistato il team nel 2006 dal fondatore della Starbucks Howard Schultz) spostò la franchigia nella sua città natale, Oklahoma City, cambiando anche nome e colori sociali alla squadra che diventò così Oklahoma City Thunder. Bennett lasciò, con un accordo economico, sia il nome SuperSonics che i colori sociali alla città di Seattle, pagando quasi 80 milioni di dollari (suddivisi in 2 rate) per uscire dal contratto di locazione della Key Arena, il palazzo utilizzato per le partite casalinghe dei Sonics, che sarebbe scaduto nel 2010. Nell’accordo Bennett espresse la volontà di mantenere però la storia dei Sonics anche ad Oklahoma City benchè di quella squadra non potesse utilizzare nulla. Sono molti gli analisti della NBA (in primis l’ex ala grande di Sixers, Suns e Rockets Charles Barkley) che però non riconoscono ai Thunder il titolo conquistato nel 1979 dai Sonics ed il record vincente (con oltre 1000 successi) nelle 41 stagioni disputate a Seattle.

La questione del trasferimento dei SuperSonics ha avuto molte conseguenze in territorio americano, da ricordare il film-documentario sportivo “Sonicsgate-la morte di una squadra”, interamente realizzato dai tifosi gialloverdi per sensibilizzare l’opinione pubblica su quanto successo nel 2008: scavando a fondo infatti i fans dei Sonics sono riusciti a risalire ad alcune mail tra il commissioner NBA David Stern ed il proprietario Clay Bennett dalle quali è emerso il tentativo, quasi fraudolento, di acquistare la franchigia con il chiaro intento di spostarla ad Oklahoma City. Facendo leva sul fatto che la Key Arena non potesse ospitare più eventi di basket in quanto obsoleta (ma l’arena era stata rinnovata una decina di anni prima e risulta tutt’ora molto funzionale per gli eventi sportivi), Bennett ha chiesto al comune di Seattle un nuovo stadio da 500 milioni di dollari (per non trasferire la squadra nell’Oklahoma) da far pagare ai contribuenti con le loro tasse, una mossa astuta in quanto una cifra del genere difficilmente può essere racimolata a breve periodo (ma non solo). Trovando l’opposizione della città ha avuto campo libero e con l’appoggio di Stern ha attuato il piano di delocalizzazione, portato avanti con successo.

In effetti, nel quasi perfetto meccanismo degli sport americani, questa è l’unica pecca: si tende il più possibile a rendere equilibrate le squadre con l’utilizzo del salary cap (che limita le società più ricche nell’acquisizione dei giocatori miliori) e del Draft (che assegna i migliori prospetti universitari ai team che sono risultati nella stagione precedente i peggiori della Lega per aiutare a migliorarli) ma non c’è nessuna regola che vieta gli spostamenti delle franchigie di città in città se approvati dal consiglio dei proprietari. E questa è una cosa che non riguarda solo la NBA ma anche le altre Leghe professionistiche come la MLB, la NHL e la NFL. Il risultato è che molti tifosi da un momento all’altro potrebbero anche trovarsi senza una squadra per cui tifare, come successo a quelli di Seattle.

Il “dolore” e la rabbia nella Emerald City sono stati ancora più grandi dato che nel 2007 i Sonics ebbero la fortuna di selezionare al Draft Kevin Durant, un fenomeno assoluto che potenzialmente potrebbe diventare il numero 1 in NBA al pari di LeBron James. Dal 2008 l’ex beniamino di casa (rookie of  the year con i SuperSonics nel 2007) è stato visto compiere magie con la maglia dei Thunder (capocannoniere nelle ultime 3 stagioni) e nello scorso torneo la sua definitiva esplosione ha condotto Oklahoma City alla Finale NBA persa per 4-1 con gli Heat.

Ecco perchè l’annuncio di un accordo tra il comune di Seattle ed il miliardario Chris Hansen viene visto con molte speranze di riavere indietro la propria squadra dai tifosi gialloverdi. Hansen ha investito 490 milioni dollari nella costruzione della futura Arena (anche se 200 sono fondi pubblici che Hansen restituirà nel giro di 30 anni da obbligo contrattuale) e proprio ieri il consiglio ha dato l’OK all’iter con una votazione di 6 favorevoli e 2 contrari. Hansen ha anche detto che oltre ai Sonics mira a portare a Seattle anche una franchigia di hockey, dato che il nuovo palazzetto, polifunzionale, potrà ospitare anche la NHL. Hansen ha chiaramente detto che ha in mente un progetto vincente che potrebbe riportare a Seattle i tempi d’oro del basket degli anni ’90 quando i SuperSonics erano una potenza della NBA grazie alle Star Gary Payton e Shawn Kemp, guidati in panchina da coach George Karl (ora allenatore di Danilo Gallinari a Denver) che li condusse alla finalissima del 1996, contro gli imbattibili Chicago Bulls di Michael Jordan (record di 72 vinte e 10 perse in regular season), persa però per 4-2.

A questo punto però arriva la nota dolente: per riavere indietro i SuperSonics Hansen dovrà cercare di fare quello che Bennett fece 4 anni fa, ovvero strappare ad altri tifosi una franchigia NBA per portarla a Seattle (e rinominarla con il nickname Sonics). Un “circolo vizioso” a cui però non si può mettere fine. Ci sarebbe anche la possibilità di un team di espansione ma la NBA, in forte crisi economica, non vede di buon occhio questa ipotesi che stravolgerebbe tra l’altro gli equilibri di Division e Conference. La franchigia indiziata maggiormente a cambiare aria sono i Sacramento Kings, con i Maloofs (i proprietari) sommersi dai debiti che hanno fatto saltare un accordo tra città e Lega per la costruzione di una nuova arena che avrebbe permesso ai neroviola di restare a Sacramento. I Maloofs hanno rifiutato già una prima proposta di Hansen che intendeva rilevare la franchigia versando loro 400 milioni di dollari (un centinaio in più rispetto al reale valore di mercato). La questione è destinata a continuare ed una situazione simile viene vissuta nell’hockey dato che gli Oilers si sono interessati alle vicende di Seattle dato che ad Edmonton è (almeno per ora) fallito il tentativo di costruzione di un’avveniristica arena per i giovani campioncini del team canadese.

Nelle prossime settimane si attendono ulteriori sviluppi, ma siamo certi che il ritorno dei Seattle SuperSonics non sia poi così lontano…

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