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Six Inch: “Melancholic whisper of life”. La recensione

In Italia, alla parola “death metal”, la reazione media è qualche occhio sgranato, qualche cipiglio alzato, un paio di sguardi di disapprovazione e purtroppo anche un po’ di ignoranza, tutto nei confronti di un genere che da noi non ha mai attecchito molto, ma il ragionare di un intero filone musicale in questo modo preclude un sacco di cose, tra cui anche alcune sorprese. Come i Six Inch.

Partiamo, come al solito, con un poco di storia. I Six Inch sono nati ad Helsinki, nella fredda Finlandia, nell’autunno del 2010, grazie allo sforzo di sei ragazzi guidati dalla voce di Andy Moisio, un cantante dalla sfumature vocale molto particolare. Dopo un primo EP, la band trova la sua formazione completa (che vede Andy alla voce, Pinja al violino, Nestori alle tastiere, Jani alle chitarre, Migi alla batteria e Kim al basso) e si mette al lavoro per produrre il suo primo disco, “Melancholic whisper of life“. E direi che, dopo l’ascolto, è stato un tempo usato benissimo.

La band dei Six Inch sulla carta dovrebbe essere un gruppo di death metal, ma dopo l’ascolto posso dire che è una band che suona “principalmente” death metal perchè, nelle 12 canzoni del disco, sebbene il death abbia una componente preponderante, non è il solo motore musicale di questo progetto, dato che i nostri musicisti finlandesi sono capaci di mescolare con esso concetti musicali romantici e di atmosfera con estrema naturalezza, spingendosi nella loro navigazione fino alle terre che lambiscono le rive del mare del post rock e del post grunge.

Six inch - "Melancholic whisper of life" - Artwork
Six Inch – “Melancholic whisper of life” – Artwork

Come detto poco sopra, il gruppo scandinavo nei circa 45 minuti del disco sviluppa un sound che parte dal death metal ma che, nel tempo e nello spazio di un lavoro discografico, porta anche altrove.  Perchè non si possono definire death metal canzoni come “Difficulty of life in art“, “Identify” (tra parentesi l’unico pezzo più lento del disco) “My beloved” (traccia strumentale molto d’impatto) oppure la canzone che chiude il disco, “Wound torn bride“, uno dei brani migliori di questo lavoro.

Il gruppo del nord Europa riesce anche nell’encomiabile impresa di non copiare altri gruppi (tendenza che potrebbe esserci in un disco d’esordio) ma da subito abitua l’ascoltatore ad un timbro vocale e ad uno stile musicale molto personale e particolare. E questo, cioè il fatto di avere sviluppato da subito un proprio “brand” musicale, è un altro punto a favore di questo lavoro.

Il disco dei Six Inch è stato una piacevole sorpresa, un altro tassello a favore della musica scandinava, ultimamente foriera di molte buone uscite discografiche. Ed un ottimo esordio, che mostra già una certa maturità e che fa davvero ben sperare per il futuro.

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