In molti lo etichetteranno come “il figlio di David Bowie“, ma fortunatamente il regista Duncan Jones ha saputo dimostrare di non essere approdato a Hollywood solamente per questo motivo. Dopo il suo primo lungometraggio, “Moon” (2008), Duncan Jones ha fatto ritorno in sala con “Source Code“, avvincente thriller fantascientifico con protagonista Jake Gyllenhaal, star di “Donnie Darko” e “Prince of Persia”.
Colter Stevens (Jake Gyllenhaal) è un ufficiale dell’aeronautica che si trova in Afghanistan, ma che improvvisamente si sveglia su un treno, di fronte ad una ragazza, Christina (Michelle Monaghan), che lo chiama con un altro nome e sostiene di conoscerlo. Presto Colter scopre di essere entrato a far parte del Source Code, un programma governativo sperimentale e top secret volto a sconfiggere il terrorismo. Il compito del protagonista è quello di scoprire chi sta alla base degli attentati che rischiano uccidere più di due milioni di persone nella città di Chicago. Per farlo, Colter dovrà seguire le direttive di Carol Goodwin (Vera Farmiga), donna glaciale e determinata, e del dottor Rutledge (Jeffrey Wright).
Difficile spiegare una trama così complessa in poche parole, per cui è meglio, in questo caso, offrire solamente un’infarinatura e lasciare allo spettatore il gusto della scoperta. Sì, perché Duncan Jones si è messo sulle spalle un gran peso, decidendo di dare in pasto al pubblico un film di fantascienza. E nel 2011, un film di fantascienza che non risulti banale e scontato, è una vera e propria impresa, eppure il regista ci è riuscito perfettamente. Certo, non senza usare formule già viste, ma tuttavia con una capacità narrativa non indifferente.
Il merito di Duncan Jones è soprattutto quello di aver reso dinamico un film che si svolge in un’ambientazione prevalentemente statica e, soprattutto, ripetitiva. La prova di Jake Gyllenhaal ancora una volta è superata a pieni voti, così come la sceneggiatura è da considerarsi veramente meritevole. “Source Code” riesce ad incuriosire lo spettatore, intrappolandolo e trascinandolo fino all’ultimo istante della pellicola, riuscendo anche a lasciare un minimo di stupore sul finale, cosa veramente rara di questi tempi. Si nota e non poco una certa influenza del thriller in pieno stile Christopher Nolan, soprattutto “Inception“, ma anche un po’ “Memento“. La formula di Duncan Jones rimane comunque azzeccatissima e va a toccare una tematica delicata, sulla quale forse nessuno si è soffermato troppo.
Il Source Code è un programma scientifico che potrebbe rivelarsi rivoluzionario: la possibilità di tornare nel passato, anche solo per poco tempo, per riuscire a sventare un attacco terroristico, sarebbe portentoso, oggi come oggi, per un Paese come gli Stati Uniti. Il terrorismo è una tematica ancora molto scottante per il Paese e “Source Code” non manca di lanciare anche un messaggio etico e politico: la contrapposizione è netta e lo dimostrano le figure della Goodwin e di Rutledge, il bene e il male. Lei, donna austera ma dall’animo fragile, è disposta a raggiungere un limite; lui, invece, è disposto a fare qualunque cosa pur di ottenere un risultato che possa conferirgli fama e gloria, ma a discapito di una vita umana: un’argomentazione piuttosto scomoda, se tiriamo in ballo gli esperimenti scientifici che ormai, anche se rappresentati nei film, non sono realtà così distanti dalla nostra.
Io inviterei, quindi, lo spettatore a riflettere anche su questo aspetto del film, dopo aver assaporato il lato romantico e la trama avvincente di “Source Code“, di certo uno dei film più interessanti degli ultimi mesi.